DDL 3400- Aula - Resoconto stenografico sed. n. 807 del 24/05/2005 2005-05-24
Legislatura 14º - Seguito della discussione del disegno di legge:
(3400) Conversione in legge del decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d’autore (Relazione orale)(ore 10,14)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3400.
Ricordo che nella seduta pomeridiana del 18 maggio il relatore ha svolto la relazione orale ed è stata dichiarata aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Caddeo. Ne ha facoltà.
CADDEO (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo batte un colpo per il Mezzogiorno. Finalmente, dopo aver guardato altrove per quattro anni, gli rivolge lo sguardo, nomina l'onorevole Gianfranco Miccichè ministro per lo sviluppo e le politiche di coesione e gli attribuisce il compito di coordinare gli strumenti di programmazione negoziata e l'utilizzo dei fondi comunitari.
L'uomo per il Sud viene quindi promosso sul campo. Riceverà un'apposita delega del Presidente del Consiglio, ma il Dipartimento per le politiche di sviluppo nelle aree sottoutilizzate permarrà nel Dicastero del Ministro dell'economia. Di che cosa si occuperà in concreto? I Ministri dell'economia, delle attività produttive, delle infrastrutture e dell'istruzione, dai quali dipendono le politiche più necessarie al Mezzogiorno, conservano gelosamente le proprie competenze. Il raggio di azione del nuovo Ministro sarà, quindi, alquanto limitato.
Che bisogno c'era di cucire queste nuove mostrine sul petto di un Vice ministro? Giulio Tremonti non fa che lodare gli sforzi finanziari fin qui profusi dal 2001 con una spesa per investimenti al Sud già pari a quella dell'intero quinquennio del centro-sinistra. L'onorevole Brunetta vanta una spesa addirittura superiore del 25 per cento. Non si sono evidentemente coordinati tra loro. Soprattutto non tengono conto del Rapporto annuale 2004 del Dipartimento per le politiche di sviluppo sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, che documenta come la quota della spesa effettiva in conto capitale del Mezzogiorno sia progressivamente salita fino al 41,2 per cento nel 2001, per poi scendere al 39,4 nel 2002 ed al 37,8 nel 2003. Col centro-sinistra ha cioè toccato l'apice, con la destra è caduta rovinosamente. Evidentemente, la nuova nomina serve al Polo per ricordare a se stesso che esiste anche questa parte dell’Italia.
Qualche giorno fa, il Ministro dell'economia, all'indomani della pubblicazione dei dati ISTAT, che rivelano un'Italia in recessione, ci ha illustrato una situazione drammatica, con un deficit pubblico 2005 intorno al 4 per cento, ed ha annunciato la svolta. "Abbiamo un programma di politica economica, è quello giusto, riguarda imprese, famiglia e Sud", ha detto. Ha poi aggiunto che si partirà alleggerendo l'IRAP di 12 miliardi nel giro di due o tre anni per ridurre il costo del lavoro e per aumentare la competitività.
Il problema è che cosa in concreto questo slogan significherà per il Sud, per le famiglie più povere e per le imprese più deboli, presenti nel Meridione più che altrove.
Perché il Parlamento predisponga un promemoria per il neoministro, poniamo tre questioni.
La prima. A Bruxelles, da qui al Consiglio europeo del 17 giugno, si entrerà nel vivo della trattativa per la definizione del bilancio europeo 2007-2013. Sei Stati chiedono di ridurlo dall’1,24 per cento a percentuali vicine all’1 per cento del PIL. La Germania vedrebbe così calare il suo contributo netto all’Unione, la Francia conserverebbe i fondi per l’agricoltura e per i territori ultraperiferici, la Gran Bretagna considera acquisiti i finanziamenti a cui ha diritto dal giorno dell’adesione.
E l’Italia? Ha tentennato troppo a lungo, tentata, nel fondo dell’animo, di seguire la posizione tedesca, perché siamo diventati anche noi contribuenti netti al bilancio comunitario. Se venisse accolta questa proposta, ne farebbero le spese i fondi strutturali e le politiche di coesione verrebbero rinazionalizzate. Per le Regioni meridionali sarebbe un colpo molto duro. La Sardegna sarebbe la prima ad uscire dall’Obiettivo 1 senza il paracadute del phasing out e a precipitare in un Obiettivo 2 a sua volta assai ridimensionato. Il neoministro per il Mezzogiorno che dice? Siccome la politica europea di coesione verrà comunque ridimensionata, non si pone già l’esigenza di reimpostare una strategia nazionale per le aree sottoutilizzate?
La seconda questione. Il nuovo corso di politica economica è, in effetti, già in atto con il varo della riforma degli incentivi alle imprese, in modo da consentire la cospicua riduzione dell’IRAP compensando il Mezzogiorno, penalizzato dal cambiamento, con un regime di fiscalità di vantaggio.
Il decreto sulla competitività ha già varato la riforma e la compensazione per il Sud è stata affidata alla riduzione dell’IRAP per i neoassunti. È di 20.000 euro in tutta Italia, di 60.000 nelle zone dell’Obiettivo 2 e di 100.000 nelle realtà dell’Obiettivo 1. Ma esistono nel Sud lavoratori per i quali si arrivi a pagare 100.000 euro di IRAP? È questa la realtà occupazionale del Meridione? In realtà il vantaggio fiscale compensativo resta ancora da realizzare.
La terza questione è anch’essa legata alla manovra sull’IRAP. Si programma il suo alleggerimento, ma finora non è stato spiegato come verrà sostituita nel finanziamento delle Regioni. Pare che il Governo voglia recuperare i 12 miliardi risparmiando sulle spese e contrastando l’evasione fiscale. Ma le Regioni
- ecco il punto - come verranno compensate?
Gli effetti sulle casse regionali non sono e non saranno uniformi. L’imposta si è rivelata troppo squilibrata sul piano territoriale, con gettiti eccessivamente sperequati, con una differenza del 700 per cento tra le entrate pro capite della Regione più ricca e quelle della Regione più povera che, quindi, paga un conto salato nell’accesso ad un diritto fondamentale come quello della sanità.
L’IRAP può essere sostituita in vari modi: nel caso si scelga la strada di trasferimenti statali, si potrebbero regionalizzare ulteriori quote dell’imposta sul reddito, oppure devolvere imposte indirette o sui consumi. Nel primo caso le ingiustizie sociali e territoriali non verrebbero ridimensionate, nel secondo caso sì.
Le compartecipazioni all’IRE richiederebbero, infatti, sempre rilevanti fondi perequativi per le Regioni povere, difficili però da gestire senza aspri conflitti territoriali. Al contrario, la devoluzione delle imposte indirette o delle imposte sui consumi aprirebbe una prospettiva di maggiore equità perché queste consentono entrate proprie, entrate pro capite più uniformi nel territorio.
Siamo arrivati quindi ad uno snodo importante proprio in questi giorni. Si può decidere come correggere il federalismo fiscale, come attuare una devolution selvaggia, come avviare l’applicazione dell’articolo 119 della Costituzione. In questo momento è forte la spinta ad intervenire sull’IRAP prima dell’autotassazione di giugno e prima che l’incertezza derivante dall’imminente giudizio della Corte di giustizia europea possa aprire voragini nelle casse pubbliche.
È questa l’ora di guardare al problema con un’ottica meridionalista e federalista. Le Regioni del Sud in questi anni sono state trascurate e spesso offese. La contraddizione tra il Settentrione e il Meridione è stata riportata ai livelli più aspri vissuti dall’unificazione fino al secondo dopoguerra.
Si prospetta persino un regime costituzionale che promuove due economie, due società tra loro molto distanti. Non può quindi stupire che l’intero Mezzogiorno con le ultime elezioni si sia ricollocato all’opposizione. Confinarlo ancora una volta nell’area di una protesta risentita sarebbe però una scelta autolesionista. Dal Sud si leva invece la richiesta di un cambiamento, di un nuovo modello di sviluppo che valorizzi e mobiliti tutte le energie umane ed ambientali, che susciti la fiducia delle imprese e dei cittadini, che si basi su uno slancio nuovo e su un progetto unificante.
Rispetto alla questione meridionale è dai tempi dell'elaborazione di Antonio Gramsci che si è colto il nesso tra la sua soluzione e l'alleanza tra Nord e Sud. Per lui la classe operaia del Nord non poteva avere speranze di successo se non otteneva l'alleanza dei contadini del Sud. Oggi, in una temperie storica ben diversa, permane la certezza che non si possono sconfiggere i rischi di declino senza che i settentrionali e i meridionali guardino ad un destino comune.
Create pure un nuovo Ministero per il Mezzogiorno, una nuova struttura burocratica; servirà a ben poco. È necessaria, invece, una politica generale, attuata dall'intero Governo, che tenga conto degli interessi vitali del Meridione, messi alla pari con quelli dell'intero Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Modica. Ne ha facoltà.
MODICA (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, affronta due materie differenti. È un piccolo e breve decreto-legge che, però, tocca due aspetti diversi, pur con la stessa impostazione di fondo. Del primo aspetto ha parlato poco fa il collega Caddeo e dunque non mi riferirò ad esso, ma ad una sua parte, per così dire, un po’ slegata.
Permettetemi, tuttavia, ancora una volta, di segnalare come la previsione di unicità di argomento dei decreti-legge non venga quasi mai rispettata dal Governo. Il decreto-legge in esame associa, infatti, un tema riguardante la coesione territoriale (articolo 1) ed un altro completamente diverso, concernente, invece, la tutela del diritto d’autore.
Concentrerò il mio intervento sul secondo tema e quindi sull’articolo 2 del decreto-legge, non senza segnalare però che nell’uno e nell’altro caso mi sembra veramente complicato riscontrare i requisiti di necessità e di urgenza che per Costituzione dovrebbero caratterizzare ogni decreto-legge, meno che mai per quel che riguarda il diritto d’autore.
Vorrei innanzitutto definire - mi si perdoni l’aggettivo - ancora una volta ridicolo (è diventato una sorta di giaculatoria che utilizziamo ormai molto spesso, cioè le funzioni di contrasto delle attività illecite lesive della proprietà intellettuale, alias la pirateria, come si dice normalmente e come la relazione al decreto pone), citare le giuste funzioni di contrasto della pirateria per una decisione che nulla ha a che vedere con la pirateria telematica.
Infatti, l’articolo 2, comma 1, introduce e affianca al Ministero e al Ministro per i beni culturali la Presidenza e il Presidente del Consiglio. Cosa ha a che vedere questo con la pirateria multimediale, nessuno - credo - è in grado di dirlo. Probabilmente, sono ben altri i motivi che stanno dietro questo affiancamento, questa volontà con cui la Presidenza del Consiglio si appropria o si riappropria di un potere di gestione del tema complesso - ne parlerò successivamente - del diritto d’autore.
Nel comma 2 si interviene di nuovo sulla tormentata vicenda dello statuto della SIAE (Società italiana degli autori ed editori), cioè del soggetto pubblico che, nella nostra legislazione, detiene l’esclusiva per la protezione del diritto degli autori alla proprietà intellettuale.
Ebbene, non bastava che il Ministro dei beni culturali e il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto, come prevede la norma attuale, peraltro recente, approvassero lo statuto della SIAE. In futuro, dopo l’approvazione di questo decreto-legge, sarà il Presidente del Consiglio dei Ministri, che evidentemente si fida poco dei suoi Ministri, ad approvare tale statuto.
Nel comma 3, alla normale vigilanza sulla SIAE, esercitata, negli aspetti diversi, dal Ministero dei beni culturali e da quello dell’economia e delle finanze, ancora una volta si associa, come ente vigilante prioritario, la Presidenza del Consiglio.
Se leggiamo, dunque, l’articolo 2, alla fine, risulta molto semplice. A parte la ridicola citazione del contrasto alla pirateria, che nulla ha a che vedere con il contenuto dell’articolo medesimo, in sostanza, la Presidenza del Consiglio decide di appropriarsi o di essere presente in prima persona - se così possiamo dire - nella SIAE e in materia di diritto di autore.
Penso che nessuno dubiti che la SIAE abbia bisogno di vigilanza, soprattutto nell’ultimo periodo. É lecito dubitare, però, che la soluzione adottata dal decreto-legge in esame sia quella necessaria.
Tornerò in seguito sull’argomento. Vorrei però sottolineare una visione un po’ feudale della nostra normativa: si aggiungono, al vertice, perennemente, nuovi controlli e nuove figure di potere e non si va mai al fondo dei problemi, ritenendo che inserire nuove figure, salire sempre più in alto (adesso al vertice del Governo), sia la soluzione dei problemi.
Francamente, avrei evitato che un Presidente del Consiglio che è anche il massimo editore e produttore di contenuti culturali del Paese assumesse questo compito, proprio in un ambito fortemente collegato ai contenuti culturali e alla proprietà intellettuale. Ma, purtroppo, ci siamo abituati.
Il mio intervento, però, voleva essere un po’ più ampio ma, visto che il relatore ed il rappresentante del Governo sono impegnati in una discussione, spero leggeranno il resoconto del mio discorso. Come dicevo, volevo toccare un tema un po’ più ampio e, a mio modo di vedere, più impegnativo per il Senato e per il Parlamento, una problematica moderna e difficile, una sfida intellettuale del mondo intero che oggi noi, con questo piccolo esempio, vogliamo cogliere utilizzando, invece che il jet, la carrozza a cavalli o forse la biga (non so di quanto andare indietro).
Perché dico questo? Perché occorre contestualizzare il tema del diritto di autore nell’era digitale, cominciata, all’incirca, dieci anni fa e che sta influenzando potentemente tutta la nostra cultura e il nostro modo di avvicinarci alla conoscenza. Se questa si chiama "civiltà della conoscenza" non è solo perché la conoscenza è l’unico bene su cui si fonda la ricchezza delle Nazioni, ma perché l’accesso alla conoscenza e la diffusione della conoscenza stanno modificando in modo straordinario la percezione della vita sociale, economica e culturale di ogni Paese del mondo, soprattutto di quelli più industrializzati.
Ebbene, in questo tema si legifera introducendo norme su norme, confondendo e stratificando la normativa, allontanandoci dai contenuti veri. Ma il bello, o il brutto, è che il Governo sembra quasi non conoscere le pubblicazioni, gli atti, i lavori dei suoi organi e dei suoi esperti.
Mi riferisco ad una pubblicazione veramente pregevole della Commissione interministeriale sui contenuti digitali nell’era di Internet, che il Governo ha istituito e affidato all’ingegner Vigevano e che, due mesi fa, ha pubblicato un volumetto molto interessante e vasto - sul quale, peraltro, avrei anche alcune critiche da muovere, ma non è di questo che voglio parlare - che affronta in modo serio, completo, organico, con informazioni e audizioni, il tema del diritto di autore. Altro che stabilire chi effettua la vigilanza o chi approva lo statuto della SIAE.
Il tema è da legislatori - da legislatori veri, non da legislatori d’accatto - e riguarda, come al solito, l’equilibrio tra due esigenze, tra due diritti, tra due poteri (come sempre, la legge interviene laddove c’è necessità di equilibrio tra diritti diversi): da un lato, il diritto a diffondere i contenuti della conoscenza, un diritto riconosciuto ufficialmente non dalla nostra Costituzione, che da questo punto di vista avrebbe forse bisogno, semmai, di una rivisitazione, ma dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948; dall'altro, il diritto di proprietà di chi produce i contenuti intellettuali, normalmente definito diritto d'autore.
È un equilibrio che è stato modificato dalla tecnologia e dall'evoluzione tecnologica e che non riguarda soltanto le forme moderne dei contenuti della conoscenza, generalmente definiti multimediali, nel senso che utilizzano vari mezzi per produrre e diffondere conoscenza, ma anche le forme tradizionali monomediali, come i libri, le canzoni e tutto ciò che può essere diffuso, prodotto e pubblicato in un modo diverso da quello tradizionale, pur avvalendosi di un unico canale mediatico e dunque o la parola o la musica.
Questo accade perché l'intervento, la presenza di questo strano sogno realizzato, la rete Internet, va capito non solo dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto nella sua natura totalmente innovativa. Viene percepito da tutti gli utenti - noi compresi - come una rete di produttori di conoscenze diffuse senza alcuna gerarchia, con accesso potenzialmente illimitato e gratuito, che non costa e che non deve costare.
La rete Internet, un sistema di comunicazione tra singoli calcolatori senza alcuna gerarchia o filtro, ha modificato il senso del termine "riproduzione" di un opera (in passato, per riprodurre un libro occorreva stamparlo, mentre oggi è sufficiente digitalizzarlo), il concetto stesso di distribuzione di un'opera di qualunque tipo e persino quello di pubblicazione di un'opera. Ognuno di noi può pubblicare un'opera propria (o addirittura, in certi casi violando alcune leggi, opere altrui) senza particolari difficoltà.
È sempre stato possibile riprodurre, distribuire e pubblicare, ma fino ad oggi ciò comportava uno scadimento della qualità rispetto all'originale. Fotocopiare un libro è diverso dall’averne uno originale, così come registrare - cosa che credo ognuno di noi abbia fatto da giovane o da meno giovane - un disco per disporre di una cassetta audio da ascoltare in macchina è certamente un modo di riprodurre, ma con una qualità minore.
Internet, invece, nella sua natura digitale, riconducendo tutto a codici numerici, permette il mantenimento della qualità originale. È dunque una scommessa del tutto nuova nella storia della cultura moderna.
Va inoltre osservato che il diritto d’autore porta sempre con sé un legame con le grandi innovazioni tecnologiche. La nascita del diritto d'autore moderno è legata alla stampa. Prima dell'avvento della stampa, oltre cinque secoli fa, non c'era possibilità di dubbio che i diritti d'autore appartenessero allo stampatore, tant’è vero che, in epoca romana, Cicerone si lamentava poiché dai suoi libri e dalle sue orazioni non traeva alcun beneficio economico, a differenza dei librai dell'epoca, che potevano permettersi il lusso di riprodurre, pubblicare e distribuire le opere.
Nell'epoca moderna il diritto d'autore nasce con l'invenzione della stampa. Modificare la modalità normale, o almeno aggiungere una modalità estremamente interessante dal punto di vista tecnologico, di pubblicazione delle opere intellettuali non può essere regolato introducendo la vigilanza da parte del Presidente del Consiglio. È necessario modificare la natura o quanto meno la complessa normativa sulla protezione dei diritti intellettuali, di chi produce cultura e opere originali.
Lo stesso documento della Commissione governativa ricorda opportunamente che, tra l'altro, una normativa soltanto repressiva, che aggravi le sanzioni credendo che in questo modo si risolvono problemi di natura internazionale e culturale, non serve a nulla per arrestare il fenomeno della pirateria e, in coerenza con le maggiori esperienze internazionali, quello stesso documento del Governo propone un approccio diverso, legato ai cosiddetti DRM (Digital Right Management) - dunque gestione dei diritti digitali, più che proprietà intellettuale - come forma per remunerare il lavoro creativo ma, al tempo stesso, per non impedire la diffusione della conoscenza e lo sviluppo culturale travolgente che la rete sta creando.
Osservo, inoltre - e sarebbe opportuno che il Parlamento ne prendesse coscienza - che esistono esperienze intellettuali di grandissimo rilievo. Mi limito a ricordare quella introdotta dallo studioso americano Lawrence Lessig, che con il libro intitolato "Free Culture", dell'anno scorso e, soprattutto, con l'iniziativa Creative Commons, sostiene una forma particolarissima di protezione dei diritti d'autore non collegata alla riscossione automatica di quelli economici.
Parliamo di fenomeni che certo non potevano essere immaginati in un'epoca in cui l'opera veniva conclusa nel momento stesso in cui l'autore la consegnava all'editore. Un'opera è un oggetto aperto, che l'autore stesso può chiedere di diffondere, come può chiedere ad altri di contribuirvi; situazione, questa, che è all'origine di quello straordinario fenomeno culturale dell'enciclopedia multipla, la cosiddetta enciclopedia Wiki, completamente creata e modificata dagli utenti. Quest'ultima rappresenta una forma di creatività comune che solo la rete internazionale, senza limiti di lingua, frontiere o divisioni culturali, può creare.
Signor Presidente, mi avvio a concludere, anche se il tema meriterebbe ben altro approccio ed attenzione. Osservo soltanto che con il provvedimento all'esame dell'Aula ci riduciamo a stabilire che il Ministro dei beni culturali è affiancato dal Presidente del Consiglio per approvare lo statuto della SIAE, e a questo dedichiamo un decreto-legge; chissà, forse si tratta di qualcosa di cui tutti avvertivamo la necessità e l'urgenza.
Onorevoli colleghi, purtroppo c'è da rimanere sconcertati per il modo in cui si affrontano tematiche di tale vastità ed importanza. Importanza non tanto per la pirateria multimediale, ma per lo sviluppo della cultura nel mondo e, soprattutto, della cultura italiana, che ovviamente va protetta, difesa ed aiutata a crescere nel contesto mondiale.
Proprio oggi sul quotidiano "la Repubblica" una delle intelligenze più lucide del nostro Paese, il professor Guido Rossi, lamenta che l'Italia continua a rifiutare le regole del capitalismo. Scrive Guido Rossi: "Destra, sinistra e centro si ostinano a sostenere, attraverso un'alluvione di leggi cui non corrisponde mai una disciplina uniforme, un sistema di tipo feudale, dove l'appartenenza al feudo vale più della competenza, dove dietro l'opaca formula dell'italianità si nasconde la totale opacità delle regole, dettate e fatte rispettare dai vari feudatari in un ordinamento da Ancien régime". Si tratta - sostiene Rossi - di un rifiuto del nuovo, dell'innovazione, che purtroppo assomiglia ad un declino più culturale che economico.
Forse il mio intervento ha toccato tematiche troppo ampie, che probabilmente il decreto-legge non meritava. Tuttavia, onorevoli colleghi, credo che gli argomenti del diritto d'autore, della proprietà intellettuale, della diffusione della conoscenza, dell'innovazione nel nostro Paese e del modo in cui le leggi possano contribuire a mettere in moto il processo di crescita del nostro Paese, questi sì meriterebbero tutta la nostra attenzione.
............ PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Ha facoltà di parlare il relatore.
MALAN, relatore. Signor Presidente, intervengo brevemente in replica agli interventi che sono stati svolti.
Al senatore Caddeo devo dire che rimando ai dati relativi a quanto il Governo ha fatto per il Sud del nostro Paese, da egli stesso correttamente riportati. Se poi siano più corrette le valutazioni del vice presidente del Consiglio Tremonti o dell’onorevole Brunetta, ciò fa parte, indubbiamente, dell’opinabilità dei numeri. Quello che è certo è che per il Sud si è fatto, in ogni caso, più che negli scorsi cinque anni.
Venendo al merito, cioè alle competenze del già nominato Ministro per lo sviluppo e la coesione, dato che siamo in presenza di un decreto-legge, è evidente che si tratta di poteri di coordinamento, poiché è ovvio che, per quanto riguarda i singoli settori, le competenze restano ai Ministeri che le avevano in precedenza. Il coordinamento delle politiche, in un’area così particolare, con problemi che non nascono certo in questi anni, sta già mostrando la sua utilità.
Vorrei ricordare, peraltro, il migliore utilizzo - indubbiamente già prima dell’istituzione della specifica delega - dei fondi dell’Unione Europea, che ha recato certamente un beneficio al nostro Meridione, dove si è registrato un aumento dell’occupazione molto forte. Ciò non vuol certo dire che non restano problemi, ma proprio per questo occorre un migliore coordinamento delle politiche del Governo e tale è lo scopo di porlo in capo alla Presidenza del Consiglio, ovvero, come stabilisce il decreto, ad un Ministro delegato dalla Presidenza del Consiglio stessa.
Per quanto riguarda le osservazioni del senatore Caddeo sull’IRAP, anche se sono estranee e al di fuori del provvedimento, siamo certamente d’accordo sul fatto che si tratta di un’imposta sbagliata. Abbiamo già lavorato per ridurla in certi settori; abbiamo protestato in modo molto forte quando fu istituita e ne è stata annunciata l’eliminazione nei prossimi anni. Certo, non è facile, ma è un guaio che ci siamo trovati, non certo causato da noi; stiamo lavorando per risolvere anche questo problema.
Lo stesso ragionamento faccio nei confronti dell’intervento del senatore Modica, il quale ha fatto una dotta esposizione dell’evoluzione del concetto e dei pericoli manifestatisi nei confronti del diritto d’autore e della proprietà intellettuale. Dal suo stesso ragionamento si evince, però, che è necessaria un’evoluzione della lotta alla contraffazione e contro i reati a danno della proprietà intellettuale; ebbene, proprio a questo scopo, l’articolo 2 del provvedimento prevede una competenza particolare per la Presidenza del Consiglio, alla quale, peraltro, fanno già capo altre competenze nel settore, come ad esempio quelle sull’editoria.
Accanto a questa dotta illustrazione del concetto e dello sviluppo del diritto d’autore, il senatore Modica, che in questo momento purtroppo non è presente, ha ritenuto di aggiungere alcuni attacchi brutali, gratuiti, non fondati e anche non spiegati, che restituiamo al mittente.
.................
Fatta tale valutazione, credo che oggi in Aula bisognerà decidere in merito.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
VENTUCCI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, al di là degli aggettivi dotti o meno di alcuni colleghi dell’opposizione, il Governo concorda con le osservazioni del relatore.
Per quanto attiene alla lunga argomentazione del senatore Agoni, estremamente preparato sul tema, il Governo si riserva approfondimenti, ancorché il problema sia stato discusso in Consiglio dei ministri. Comunque, me ne faccio carico e oggi pomeriggio sarà data la risposta governativa.
PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
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