Musei, la guida è un cantastorie una fiaba per raccontare l'arte Cinzia Dal Maso Repubblica
L'obiettivo è di dare un'immagine diversa, più accattivante, dei beni culturali. Un convegno a Torino
Castello di Rivoli Diversi scrittori hanno composto fiabe ispirandosi a un’opera del Museo. Si leggono assieme al pubblico di fronte alle rispettive opere, ragionando assieme su come sono nate le une e le altre www.castellodirivoli.it
Museo archeologico di Bologna Le opere d’arte dell’antichità viste alla luce dell’epica e del mito www.comune.bologna.it/museoarcheologico
Scuderie del Quirinale e Musei civici di Genova www.diifcrfticamusei.it Un “animatore” legge assieme al pubblico in contemporanea un’opera d’arte e uno scritto www.scuderiequirinale.it www.didatticamusei.it
Chieti Museo della Civitella La visita è obbligatoriamente guidata. Perché le didascalie sono ridotte al minimo, tutto è nelle mani di un allestimento “parlante” e della narrazione che la guida fa su Chieti antica Info: 0871/63137
Esempi dall’estero Città di Exeter Le guide turistiche sono pensionalti, vengono preparati ma i loro discorsi non seguono una scaletta precisa. Ognuno racconta la propria vita in città
Chester Beatty Library (Dublino) Uso dello storytelling per raccontare le vicende del passato ma anche per recuperare la tradizione delle comunità straniere in città www.cbl.ie
Audioguida del Museo Jacquemart-Andre (Parigi) Spiega le opere del museo attraverso il racconto delle vicende della coppia di collezionisti musee-jacquemart-andre.com
I luoghi silenziosi per eccellenza si animano e cominciano a destare meraviglia ROMA — Quello del cantastorie è un mestiere antico. Ma è anche la grande scommessa del museo del XXI secolo. Favole e racconti per presentare al pubblico l'arte, per indagare la storia di un monumento, una chiesa, un palazzo. Per conquistare il pubblico con l'immaginazione e la meraviglia. «Oggi più che mai la gente vuoi sentir raccontare», dicono gli esperti di molti nostri musei. E le proposte si moltiplicano. Letture in contemporanea di un'opera d'arte e uno scritto d'autore, come alle Scuderie del Quirinale a Roma o nei Musei civici genovesi. Uso del mito e dell'epica per capire l'arte antica, come al Museo archeologico di Bologna. Al castello di Rivoli a Torino si è chiesto a diversi scrittori di comporre fiabe ispirandosi a un'opera, e ora il "cantastorie" legge le fiabe di fronte all'opera. E proprio Torino ospiterà il 4 e 5 febbraio prossimi una conferenza internazionale dove per la prima volta si ragionerà su " Raccontare i musei", mettendo a confronto diverse esperienze. Ci sarà la sociologa di Helsinki che ha fatto scrivere a gente diversa, scrittori e non, storie sul proprio impatto con un'opera d'arte, scoprendo quanto l'arte sappia far emergere riflessioni autobiografìche. O la curatrice del museo Chester Beatty di Dublino, che dirà del suo uso del racconto per narrare storie del passato ma anche per aiutare le comunità cittadine, afgana piuttosto che bulgara o egiziana, a recuperare la propria tradizione. Si vedrà quanto il narrare sia capace di far vivere il museo, trasformarlo da luogo silenzioso in teatro del dialogo tra l'arte e la gente. È una scommessa che Regione Piemonte e Fondazione Fitzcarraldo condividono con HoldenArt, la neonata emanazione della scuola di scrittura Holden che si propone di «insegnare a tirare fuori le storie dai luoghi dell'arte», come spiega il direttore Lea Iandiorio. Insegnare non ai professionisti della didattica bensì alle guide turistiche stesse, per stravolgere il concetto di visita guidata tradizionale e farla di-ventare lei stessa un racconto. Tutto è nato qualche anno fa quando il direttore del castello di Racconigi ha chiesto alla scuola Holden di aiutarlo a migliorare il rapporto del museo col pubblico attraverso l'uso del racconto. Da allora i corsi per guide turistiche si sono moltiplicati, in Piemonte e altrove. Ed è nato HoldenArt. C'è infine chi preferisce stimolare il pubblico stesso a pensare il proprio racconto. Per trasmettere il gusto di frequentare, esplorare e indagare musei e monumenti. Come la scrittrice Antonella Cilento che con la formula "Percorsi di città" porta i suoi allievi tra i giardini di Napoli o i templi di Paestum. O il concorso di scrittura "6000 caratteri per un museo" appena lanciato dall'Istituto per i beni culturali dell'Emilia-Romagna. C'è tempo fino al 15 maggio per presentare un racconto ambientato in un museo della regione. Poi i racconti migliori saranno pubblicati, e verranno recitati da cantastorie all'interno dei musei. «In fondo, un museo si fonda sempre su un'idea narrativa, è una piccola Odissea», dice citando Calvino Ezio Raimondi, presidente dell'Istituto. «È una grande avventura che ne ingloba moltissime. Guardando le opere di un museo il nostro occhio si apre verso un altro mondo, la nostra esperienza si espande infinitamente per poi ricadere all'interno di noi stessi e ci aiuta a comprenderci. Proprio come quando si legge un romanzo. Il concorso vuole far capire questo. Come i veri libri si rileggono sempre e la vera lettura è sempre la seconda (lo diceva Nabokov), anche i musei sono fatti per tornarci. Di continuo».
Repubblica L'esperto Peter Howard "Bisogna proporre tante scelte" (c.d.m.)
«Sono un democratico, credo che un museo debba rispondere alle scelte dei visitatori e non degli studiosi. E mentre ai secondi interessano le opere, alla gente piace la gente, piace sapere che "la regina Elisabetta ha dormito qui". Il racconto toglie la polvere dal passato e ne esalta il lato più avvincente. Per questo funziona a meraviglia». Peter Howard è un'autorità in fatto di gestione e comunicazione dei beni culturali. Ora visiting professor all'Università di Bournemouth, sarà lui a introdurre i lavori al convegno di Torino " Raccontare i musei". Intende dire che il museo vecchio stile non funzionava perché non raccontava? «Certo. Gli studiosi usavano di proposito un linguaggio complesso per allontanare il pubblico, o per imporre al pubblico il loro punto di vista. Ma la tendenza di oggi è ugualmente pericolosa ed elitaria. Si toglie dai musei il 90% delle opere e si costruisce un racconto col solo 10%. Funziona bene, è piacevole e divertente, |4||§||pt ma ancora una volta si impone al pubblico una visione parziale delle cose. Parziale quanto? «Ogni racconto implica necessariamente una scelta, presenta solo una faccia della medaglia. È come narrare la battaglia di Alamo solo con gli occhi degli americani. Quando scegli un racconto ne accantoni almeno altri dieci. In genere ti concentri su una disciplina ignorando le altre. Prendiamo per esempio una chiesa. Le guide mostrano ai visitatori l'architettura, le opere d'arte, ignorando le vicende, i riti, le musiche che si sono suonate in quel luogo. Sono tutte possibili storie che meritano di essere raccontate, che il visitatore ha il diritto di conoscere». Come fare, dunque? «Proporre tante storie, storie diverse. Come ha fatto oltre 900 anni fa chi ha tessuto l'arazzo di Bayeux, in Normandia, raccontando la conquista normanna dell'Inghilterra sia dal punto dì vista dei Normanni che dei Sassoni. O chi ha allestito il museo di Borre in Norvegia, dove un filmato mostra il primo scopritore delle navi vichinghe mentre racconta la propria interpretazione, e altri filmati ritraggono gli archeo1og i moderni che, alla luce delle nuove ricerche, rivedono in parte le tesi passate. Bisogna dare al pubblico la possibilità di scegliere, di farsi un'idea propria. Lo ripeto: i musei non sono democratici. Dovranno diventarlo».
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