LA SCULTURA DI IRSINA Capolavoro di Mantegna in Basilicata Antonio Pecoraro 24/01/2005 , Il Mattino
«Fui presa per pazza, quando pubblicai come opera di Andrea Mantegna la statua di Sant’Eufemia nella cattedrale di Irsina.
Sembrava assurdo che il maestro mantovano, noto come pittore, potesse aver realizzato una statua e per giunta in una località sperduta della provincia di Matera», così Clara Gelao, responsabile della pinacoteca di Bari, rievoca il clima che accompagnò nel 1996 il ritrovamento del capolavoro lucano che veniva anche a rivoluzionare il consolidato panorama della scultura nella seconda metà del Quattrocento. Se ne è parlato in due giorni di convegno, conclusosi ieri a Matera. «È difficile pensare a un Mantegna scultore - continua la Gelao -, ma l’artista era notissimo come tale ai suoi contemporanei che lo paragonavano a Fidia e Lisippo. Del resto sono noti il ritratto bronzeo che fece per la cappella di famiglia in Sant’Andrea a Mantova e la pala di terracotta nella cappella Ovetari a Padova». Su come la scultura mantegnesca sia finita in Lucania ci sarebbe da scrivere un giallo. Il momento decisivo si ha con la riedizione del poemetto cinquecentesco di Pasquale Verrone sulla vita e il martirio di Sant’Eufemia che riferisce della donazione fatta da Roberto de Mabilia nel 1454 alla sua città natale, appunto Irsina, allora chiamata Montepeloso. Una donazione elargita senza badare a spese perché comprendeva, oltre alla statua di Sant’Eufemia, anche la tela in cui Mantegna aveva raffigurato la vergine e martire di Calcedonia, oggi conservata a Capodimonte. In aggiunta a queste due opere vi erano un crocifisso di scuola donatelliana, un altorilievo della Vergine col Bambino, attribuito al Pizolo, una tela perduta con il transito della Madonna e tre corali. «L’indagine condotta negli archivi padovani - sottolinea la studiosa - ci restituisce la figura del committente della donazione, quel Roberto de Mabilia che era andato a studiare a Padova divenendo rettore della chiesa di San Daniele e ricchissimo notaio ecclesiastico che, legatissimo alla sua gente, non aveva trascurato di soccorrere i lucani presenti in territorio patavino al momento della peste». Una volta documentati i legami tra Padova e Irsina, sono stati i successivi confronti a togliere gli ultimi dubbi sull’attribuzione della scultura. «Partendo dalla data del 1454 segnata sulla tela napoletana del Mantegna, finita a Capodimonte dalla collezione del cardinale Stefano Borgia, ho dovuto escludere - dice ancora la Gelao - l’attribuzione a Pietro Lombardo, sculture di formazione mantegnesca ma attivo a Padova solo dal 1568. A questo punto tutti i confronti rimandano a Mantegna». L’opera ritrovata sarà esposta a Mantova l’anno prossimo in occasione delle celebrazioni mantegnesche.
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