Tutelare i beni culturali. Per rilanciare e riqualificare l'Italia. Colloquio con Giulia Maria Crespi di Silvia Dell'Orso L'Espresso 27-GEN-2005
Il governo non avrebbe dovuto impugnare il decreto salvacoste di Soru: la Sardegna rischia scempi indicibili. Soru avrà pure esagerato a bloccare le costruzioni entro due chilometri dal litorale, ne bastava anche uno, ma era l'unico modo per mettere al riparo dal cemento una terra costantemente minacciata, mentre si preparava il nuovo piano paesistico per l'isola... La presidente del Fai, Giulia Maria Crespi, decana della tutela dei beni culturali e paesaggistici, non ha l'abitudine di nascondere le proprie opinioni. Anche quando si tratta di spezzare una lancia a favore delle sorti del nostro patrimonio culturale, seppure in uno scenario che non è dei più confortanti. Dopo un 2004 nero, l'anno nuovo si prospetta, se possibile, ancora più difficile e avaro dal punto di vista delle finanze; non ci sono più i soldi neppure per mantenere in servizio l'ex soprintendente ai Beni archeologici di Roma, Adriano La Regina. « Le cose che non vanno, purtroppo, le conosciamo bene. Noi del Fai, insieme a Italia Nostra e Wwf, le abbiamo più volte denunciate. Anche a proposito del nuovo Codice dei Beni culturali e del Paesaggio e della riforma del Ministero, che contengono peraltro molti spunti positivi, ci siamo impegnati a farne un primo bilancio a un anno dall'entrata in vigore. Proviamo quindi a guardarci attorno da un altro punto di vista». Quale? «Voglio dire che la congiuntura internazionale, certo non favorevole per il nostro Paese, ha fatto in un certo senso realizzare agli italiani quello che da decenni ambientalisti e amanti dell'arte vanno dicendo: il vero oro nero dell'Italia è il patrimonio artistico e ambientale. Basta pensare a città come Genova che si è reinventata all'insegna di nuove architetture, interventi di riqualificazione urbana e grandi mostre; Brescia, che ha creato una società per la gestione e la promozione culturale; o ancora Roma, che sta investendo sull'arte e sull'architettura contemporanea e sta realizzando il museo del giocattolo; o Napoli, che ha rilanciato la Mostra d'Oltremare e sta puntando sul sistema della tourist card. Ma esempi edificanti arrivano anche da piccole città come Siena o Ferrara tenute splendidamente». La parola d'ordine è "valorizzazione". «Ecco, il pericolo è che adesso tutti si buttino sulla "valorizzazione" del nostro patrimonio, vagheggiando chissà quali guadagni e facendo danni a tutto spiano». Il grande tema di questi anni è appunto la redditività dei beni culturali, lei come la vede? « Bisogna andarci cauri, basta guardare cosa succede in Inghilterra o negli Stari Uniti dove i grandi musei, per andare avanti, hanno bisogno di sponsor e di amici affezionati che li aiutino nella gestione. Per non dire del National Trust inglese: su oltre 250 beni custoditi non sono più di 10 quelli che danno reddito e certo non ce la farebbero se non avessero 3 milioni e mezzo di soci e se non potessero contare sui legati testamentari. Nel 2003 hanno ricevuto 62 milioni di euro dai legati: da noi si tocca ancora ferro quando se ne parla! Se i beni sono correttamente gestiti non possono generare guadagni diretti, al massimo arriveranno al pareggio; possono però dare un forte impulso alla produttività del territorio su cui insistono». A proposito di sviluppo attraverso i beni culturali: il ministro Urbani sembra puntare molto su nuovi modelli di gestione pubblico-privati e su Arcus, la società a capitale pubblico creata per promuovere progetti e restauri, gestendo il 3 per cento dei finanziamenti destinati alle infrastrutture. «Ho incontrato Mario Ciaccia, l'amministratore delegato di Arcus, e mi è sembrato molto coinvolto in questo suo compito. Ci auguriamo che anche il Fai possa beneficiarne per il restauro di Villa Gregoriana a Tivoli. Ma a parte Villa Gregoriana, un bene demaniale che il Fai ha avuto in concessione per 12 anni e che aprirà al pubblico in primavera, Arcus ha programmato molti interventi mirati al rilancio del patrimonio italiano. Mi pare che sia l'inizio di una nuova percezione dei beni culturali e ambientali come settori indispensabili al rilancio delle attività produttive e alla riqualificazione del nostro Paese. A patto, però, che questo non significhi disinvestire sull'amministrazione pubblica dei beni culturali, ma coincida con il potenziamento del sistema delle soprintendenze che ora, affiancate dalle nuove direzioni regionali cui spetta il grosso delle incombenze burocratiche, potrebbero davvero dedicarsi attivamente alla tutela». |