Sull'inglese tolleranza zero Chi difende l'italiano? Beppe Severgnini Corriere della Sera, 20/01/2005
Domanda secca: perché gli inglesi e gli americani sono tanto interessati a come parlano e scrivono, e noi no? I libri sulla lingua, di là della Manica e dell'oceano, diventano best-seller: dai noi vengono accolti con stracche recensioni. Ho un sospetto: noi italiani siamo convinti che la lingua non si amarsi usa. E poi succeda quel che deve succedere. L'Accademia della Crusca, com'è noto, non è d'accordo, e mette in campo degne persone. Ma sventolare quel nome agreste - lo dico con affetto - vuoi dire partire in salita: quattro quinti della nazione non hai mai visto il frumento, figuriamoci se s'appassiona alla crusca. L'inglese, invece, sembra provocare reazioni sanguigne: più aumentano quelli che lo maltrattano (all'estero, e non solo) più si eccitano quelli che lo difendono. La notizia del successo di «Eats, Shoots and Leaves - The Zero Tolerance Approach to Punctuation» è arrivata anche in Italia: l'autrice Lynne Truss, come dice il sottotitolo, propone «tolleranza zero» in materia di punteggiatura. Non riesco a immaginare qualcosa del genere in Italia, dove il punto e virgola, pur così sexy, è stato abbandonato; e molta gente ha ceduto al ricatto dei telefonini, scrivendo «un pò» (accento) invece di «un po'» (apostrofo). C'è ovviamente di peggio. Invece di portare la lingua quotidiana sui monumenti, abbiamo accettato che la lingua dei monumenti conquistasse la vita quotidiana. In pubblico, la gente dice lustri e non cinque anni, volto e non faccia, ventre e non pancia. Presenta omaggi, e non fa regali. Molti esordiscono con Chiarissimo scrivendo a professori universitari specialisti in manovre oscure, e tutti chiudono le lettere con Voglia gradire i più distinti saluti. Chi li distingue, quei saluti? Nessuno. Ma il mittente si sente tranquillo. Ricordo Silvio Berlusconi, al tempo degli ostaggi in Iraq: il presidente del Consiglio non diceva «Continuiamo a parlare...», ma «Abbiamo un'interlocuzione continuativa...». Il movente psicologico è lo stesso che lo spinge a usare «Mi consenta...»: un'insicurezza verbale di fondo, che attraversa la società italiana come una corrente (da Palazzo Chigi alle case popolari). Il linguaggio come polizza di assicurazione. Anzi: come vestito buono da indossare per le fotografie, e poi rimettere nell'armadio. Non è solo la lingua ufficiale a comportarsi così. I nostri discorsi sono disseminati di segnali di cautela e d'incertezza. «In Veneto - mi diceva un veneto - molti iniziano le frasi dicendo Con rispetto parlando... Quando chiedono nome e cognome, a Venezia e a Padova c'è chi risponde: "Mi saria Tonon Giovanni..", Io sarei Giovanni Tonon: ma potrei essere anche qualcun altro, se risultasse necessario». Lo stesso, universale, italianissimo «ciao» deriva da Schiao (pronuciato sciao). In dialetto veneto: schiavo, servo suo. Un esordio umile, poi si vedrà. Avete letto fin qui? Buon segno: vuoi dire che, sebbene pochi scrivano di queste cose (lode a due veneti, Paolo Marchi e il nostro Giulio Nascimbeni!), i lettori sono interessati. Ed è bene che sia così. La Lingua cattiva è poco efficace, e spesso è fraudolenta. Lo sosteneva George Orwell nel 1946 («Politics and the English Language»), e resta vero. Chi difende la buona lingua non difende la noia, né rifiuta le innovazioni. «Palloso», per esempio, è un neologismo fascinoso, utile per descrivere i discorsi di chi non sa parlare e i testi di chi non sa scrivere. E' irritante invece l'uso di «assolutamente sì» al posto di «sì» (perché sprecare sei sillabe?) e la confusione tra «attitudine» (che vuoi dire «predisposizione») e atteggiamento (che significa «disposizione»): certo, in inglese «attitude» vuoi dire «atteggiamento», ma che c'entra? Confondere i due vocaboli è un errore. Fatelo notare, alla prima occasione, ma senza esagerare. Scrive Richard Jenkyns, professore (non palloso) di Oxford: «In materia, la regola è semplice: resistere finché si può, ma quando la battaglia è perduta, arrendersi». Mi sembra l'attitudine giusta. Scusate, l'atteggiamento. www. corriere, it/severgnini
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