Perché mi hanno cacciato. Intervista ad Adriano La Regina, rimosso da soprintendente archeologico di Roma FRANCESCO ERBANI La Repubblica, 17 gennaio 2005
Roma Una settimana fa il ministro Giuliano Urbani aveva rassicurato. Professore non stia in ansia, risolveremo questa grana burocratica. Venerdì sera, ore 19,46, le agenzie battevano poche righe: nuovo soprintendente archeologico di Roma diventa Angelo Bottino. È. cos'i che al ministero per i Beni e le attività culturali si sono liberati di Adriano La Regina, sessantasette anni, per ventisei custode del patrimonio di antichità della capitale, grande fama in Italia e all'estero, critico inflessibile del alvezzo di considerare un accessorio, peggio, un ingombro, la tutela delle bellezze artistiche e dei paesaggi che le contengono. Hanno tentato spesso di farlo fuori. Ci provò l'allora sindaco Francesco Rutelli, al quale impedì di costruire un sottopasso sul Lungotevere, davanti a Castel Sant'Angelo. Ma Walter Veltroni, che era ministro, lo difese. Urbani lo ha sopportato, facendo mostra di apprezzarlo, ma ingoiando amaro a ogni suo intervento contro le alienazioni di beni pubblici, contro lo smantellamento delle soprintendenze e contro le limitazioni all'autonomia di quella romana. In-somma contro i pilastri della politica ministeriale. E poi dava noia il martellante richiamo ai doveri dello Stato e di chi lo amministra di salvaguardare il patrimonio senza secondi fini, evitando le litanie e le retoriche privatistiche, di salvaguardarlo e basta, che poi i vantaggi, anche economici, sarebbero arrivati — eccome se sarebbero arrivati. È domenica mattina, Adriano La Regina non più soprintendente di Roma è all'Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell'Arte, di cui dal dicembre scorso è presidente e che potrebbe rinnovare i suoi fasti diventando, oltre che serissimo organismo di studi, un presidio contro malversazioni e offese. Depresso? «No. Se le dico che, personalmente, non mi fa né calde né freddo, lei mi crede?». Ci provo. «Ero abituato a pensare che la mia testa un giorno o l'altre sarebbe saltata. E l'esperienza di sentirsi sempre in bilico fortifica». Ma il modo in cui l’hanno licenziata. «Be' quello è indegno. Ma, prima di parlarle di questo, posso approfittare per fare gli auguri a chi mi succede?». Faccia pure. «Bottini ha tutti i requisiti per poter compiere un ottimo lavoro—formazione, risultati conseguiti, capacità scientìfica. D'altro canto trova alla Soprintendenza di Roma un gruppo di funzionari di prima qualità e di impressionante dedizione». Torniamo al suo allontanamento. Nell'agosto scorso lei sarebbe andato in pensione. Poi uscì una legge. «Sì. Consentiva ai dipendenti pubblici di restare fino a settant'anni, qualora facessero domanda e qualora l'amministrazione fosse d'accordo». Lei fece domanda. Il ministro cosa disse? «Diede parere favorevole». D'altronde per la sua permanenza si mobilitarono Italia Nostra e al tre associazioni, personalità della cultura. «Bontà loro. Nel frattempo ho firmato il contratto e tutto sembrava filare liscio». Poi cosa è successo? «A novembre è stata diramata una circolare secondo la quale le amministrazioni che trattengono in servizio i pro-pri dirigenti non devono sforare il budget previsto. Ed e a questa norma che al ministero si sono attaccati per darmi il benservito». Il suo stipendio era esorbitante rispetto al budget? «Non è questo il punto. Tenga conto che nel frattempo il ministero ha assunto trentanove persone, parte delle quali dopo che avevo firmato il mio contratto». Ma messi alla porta, oltre lei, sono il direttore della Biblioteca Estense di Modena, Ernesto Milano, e la direttrice degli Uffizi, Annamaria Petrioli Tofani, personalità di grande rilievo. A Milano lo hanno cacciato con una telefonata a mezzogiomo del 31 dicembre. «Il ministero insiste nel sostenere che si è trattato di una misura imposta dai colleghi della Funzione pubblica. Invece è stata una scélta». Hanno subito pressioni? «Questo non lo so. Ma forse c'è qualcosa dì peggio: il ministero ha speso tanti soldi per rinforzare i ruoli centrali, quelli amministrativi, a scapito di soprintendenze, archivi, biblioteche e musei». Più burocrazia e meno tutela? «E cos'altro se non questo? Si sono moltiplicate le cariche dirigenziali, con manifeste ricadute clientelali. Si è ingrossata la testa del ministero inventando capi dipartimento e nuovi direttori generali e si è indebolito ìl corpo, quello che esercita veramente la tutela, protegge il patrimonio, compie attività di ricerca.' Questa è una politica dissennata. Sono state create le direzioni regionali, ammettendo che le guidassero anche personale esterno oppure funzionari amministrativi e non solo architetti o archeologi o storici dell'arte. Si è fatto un po' di centralismo e un po' di federalismo». Sono diventate direttori generali persone di trentun anni. In Emilia Romagna sono stati sostituiti tutti i soprintendenti storico-artistici con dei reggenti. «Il lavoro delle soprintendenze è svilito. Le assunzioni di funzionari sono bloccate e il personale è invecchiato. Inoltre si aggiungono complicazioni burocratiche fastidiosissime. Le procedure per mettere un vincolo sono diventate un groviglio ed è evidente l'intento di vanificare le pur minime capacità degli uffici. Sa cos'ha detto il ministro?». Ne ha dette tante. Sentiamo l'ultima. «Ha detto che il nuovo Codice "uccide alla radice il potere monocratìco di quelle che talvolta erano vere e proprie sa-trapie, sostituendolo con decisioni prese in modo collegiale"». Il satrapo più satrapo però è lei, secondo l'opinione che circola al vertice del ministero. E' vero che si voleva colpire l'autonomia della Soprintendenza di Roma? «Mi pare indubbio. Questo ministro ha fatto macchina in-dietro rispetto alla sperimentazione inaugurata da Veltroni per noi e per Pompei, due realtà che per evidenti motivi fuoriescono dal panorama generale». Troppo energici nel contrastare abusi, manomissioni ed espansioni edilizie? «Fa parte, come si dice, delle regole del gioco. Cèchi vuole trasformazioni e c'è chi è preposto alla tutela. Ma ora le regole mi sembrano saltate. Si punta a sopprimere i soprintendenti fastidiosi». Lei ha osteggiato la politica delle alienazioni, la messa in vendita di pezzi del patrimonio pubblico. E' uno dei motivi per cui gliel'hanno fatta pagare? «Non saprei dirlo. In ogni caso il gioco è perverso. Da una parte si vilipende il ruolo dello Stato e si cerca di ridurre l'interferenza che lo Stato esercita sul privato. Dall'altro si procede all' arrembaggio dei suoi pezzi migliori, cercando di accaparrarseli per farne fonte di profitto». È di questi giorni la notizia che si sta per mettere in vendita l'edificio del Poligrafico dello Stato, in piazza Verdi a Roma, e quello dell'Istituto geologico nazionale. Che ne è stato della sua proposta di trasformare il primo in un museo di numismatica? «Non ne ho traccia. Leggo che al Poligrafico ci faranno un albergo e un centro commerciale, mentre non abbiamo dove sistemare l'enorme collezione di monete del re Vittorio Emanuele. Ma voglio tralasciare ciò che più mi sta a cuore: come si fa a non vedere che tante istituzioni pubbliche soffrono in spazi angusti -le università, per esempio -mentre edifici pregiati, in luoghi di grande valorizzazione immobiliare, finiscono ai privati?». Professore, lei ha fronteggiato piccoli e grandi speculatori, ha contrastato palazzinari, si è opposto a chi voleva banchetti e festini aziendali nei musei. Ma poi si è dovuto guardare anche dagli uomini che guidano il suo ministero. «Sì, senza alcun dubbio».
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