Scacco Matto ai tombaroli DANILO MAESTOSI Il Messaggero, 15 gennaio 2005
IMPETTITI nelle loro divise quattro carabinieri fanno da sentinella a due banconi carichi di cimeli, che tappezzano il salone conferenze del museo etrusco di Valle Giulia. Mai visto un campionario di vasellame antico così ricco e prezioso: «un catalogo di storia della ceramica mediterranea dall’età del bronzo all’avvento di Roma che potrebbe alimentare una dozzina di musei», gongola la soprintendente dell’Etruria meridionale Anna Moretti, nominata custode di questi duecento capolavori e di altri duemila pezzi di inestimabile valore, stipati provvisoriamente in altri due depositi. E’ il bottino archeologico rastrellato dal nucleo per la tutela artistica in una serie di indagini che coprono l’anno appena trascorso. Il recupero più importante? «Sicuramente quello di un nuovo frammento di un vaso a figure rosse sfornato nel quinto secolo a.C. dalla bottega di Eufronio, il più illustre ceramista dell’epoca, e firmato dal suo allievo Onesimo. Un vaso che il Paul Getty Museum dopo un lungo calvario di rogatorie e denunce ci ha restituito alla fine degli anni 90» spiega il generale Ugo Zottin, indicando un lacerto slabbrato e dipinto sui due lati, su cui si intravedono i piedi e la tunica della Dea Atena. Un tassello che si salda alla perfezione con gli altri ricomposti dai restauratori, che evocano squarci della mitica guerra di Troia. «Trovato in mano a un giostraro, un ex zingaro che ha messo casa a Cerveteri - racconta il colonnello Fernando Musella - Probabile che l’abbia a sua volta rubato ad un collezionista privato, che s’è ben guardato dal denunciarne la scomparsa, perché nel giro i frammenti di quel vaso sono diventati tabù. Cercava di venderlo. Un errore che ha fatto scattare l’allarme». Le preferenze della soprintendente Moretti vanno invece ad una coppa scheggiata in frammenti più numerosi e leggibili, saltata fuori da un’altra perquisizione « Opera di Eufronio anche questa. Importantissima, perché raffigura, in scala ridotta, le stesse scene del mito di Sarpedonte, un eroe del ciclo omerico, raffigurate in un celebre vaso, firmato Eufronio, del Metropolitan di New York. Una prova in più per ottenerne la restituzione, per cui ci battiamo da decenni». Sono materiali che facevano parte di corredi funebri. Provengono da sepolcri saccheggiati chissà quando, chissà dove e da chi. Se ne può indicare approssimativamente il luogo: Etruria, Puglia, Campania, Basilicata. Impossibile ormai ricostruirne la provenienza, la storia, le storie che avrebbero potuto raccontare. Le informazioni che avrebbero potuto fornire. Un monumento agli scempi provocati dagli scavi avidi e frettolosi dei tombaroli. Un saccheggio e un mercato clandestino a cui i carabinieri hanno inferto - si è appreso ieri - il più grosso colpo mai registrato nell’estenuante battaglia per debellare questa piaga. La confisca di oltre duemila reperti antichi, i più preziosi tra quelli ieri in mostra a Valle Giulia, già venduti a vari musei o case d’asta straniere o in procinto di essere dispersi all’incanto. E la condanna del mercante che teneva i fili di questo commercio a dieci anni di galera e a un pesante risarcimento danni allo Stato: dieci milioni di euro. La sentenza di primo grado, emessa dopo rito abbreviato nel dicembre scorso, è d’una durezza esemplare. A scontarne sin d’ora le conseguenze, con un sequestro cautelativo che gli ha tolto il possesso di una rombante Maserati, di una lussuosa villa con campi da tennis e piscina alla periferia di S.Marinella, e persino, a garantire la penale, di una serie di pezzi, sfuggiti alle accuse di ricettazione, è un personaggio notissimo nell’ambiente dei tombaroli. Giacomo Medici, 65 anni, modi spicci da romano doc, stemperati da una conoscenza dell’archeologia etrusca da vero intenditore. Professione ufficiale? « Antiquario», ha sempre risposto lui, raccontando di aver appreso il mestiere dal padre bancarellaro a Fontanella Borghese, prima di mettersi in proprio, tra i tanti negozi anche uno in via Del Babuino. Lasciandosi alle spalle « la puzza di piscio dell’orinatoio sotto casa, in piazza del Paradiso, un marchio di miseria da cui sono riuscito a liberarmi facendo fortuna». « Nel campo sono il numero uno. E non solo in Italia», si vantava quando ci venne a trovare nel 1999, protagonista di un clamoroso recupero, la riconsegna di tre frammenti del vaso di Eufronio appena tornato in Italia dal Getty museum. «Merito mio che ho scovato e convinto a mollare i reperti un collezionista canadese che li aveva acquistati», aggiunse, senza spiegare come aveva avuto la dritta, sgranando come benemerenze la partecipazione al ritrovamento di altra refurtiva. Parlava come un benefattore, in realtà come altri trafficanti presi nella rete, era una sorta di ostaggio costretto a collaborare per cavarsi d’impiccio. Una sorta di pentito. Ma lui si ribellava alla definizione: «non sono mica un infame. Mica ho fatto nomi. Mica ho tradito nessuno». I carabinieri avevano appena scovato e sequestrato la camera dei suoi tesori. Un padiglione nel porto franco di Ginevra, stivato di vasellame e sculture antiche d’autore, tutti o quasi pezzi trafugati da scavi clandestini. Gli investigatori arrivarono in Svizzera ripercorrendo a ritroso le tracce di 8 cimeli della Puglia, bloccati alla casa d’aste Sotheby’s. Poi li aiutò un colpo di fortuna: un maresciallo varcò la porta del magazzino incuriosito dal fascinoso ondeggiare d’anche d’una cliente in minigonna. «Chi gestiva quella miniera di gioielli pronti all’esportazione? Giacomo Medici ovviamente», tira le somme il capitano Massimiliano Quagliarella. Era il 1995, ci sono voluti quasi dieci anni per recuperare il maltolto e provare che i titoli esibiti per giustificarne il possesso erano fasulli o mancanti. E chissà quanto ci vorrà per inchiodare con una condanna, il presunto complice americano di Medici, un antiquario ottantenne, denunciato e in attesa di giudizio. Un decennio in cui il saccheggio dei tombaroli è purtroppo continuato, ammette la soprintendente Moretti. «Ma più sporadico - spiega il colonnello Musella - con sempre maggiori difficoltà a individuare tombe - da depredare, per via delle sistematiche perlustrazioni aeree con cui monitoriamo le campagne laziali, e a trovare sbocchi sul mercato del collezionismo, che per sfuggire alla nostra morsa, si è indizzato verso altre fonti meno difese. Quali? Gli oggetti d’arte delle chiese, tallone d’achille della rete italiana, 1179 furti nel 2004. E altri siti archeologici stranieri. Come la Cambogia, o il Perù da cui viene la rarissima maschera preincaica, trovata a Torno, che sarà messa in mostra il 20 gennaio al Quirinale. O l’Iraq in guerra, dove, muovendoci dalla base della nostra missione a Nassyria, abbiamo recuperato 1579 cimeli babilonesi, trafugati da aree e monumenti in abbandono».
|