SICILIA E REPERTI RUBATI: Archeologia più bookshop meno falsari AMELIA CRISANTINO La Repubblica, ED. Palermo
Nei giorni scorsi, il bilancio di fine anno tracciato dai carabinieri del nucleo tutela patrimonio artistico ha reso visibile un settore economico di cui raramente si parla, che può vantare dati sorprendenti. Pare che in Sicilia il traffico di reperti archeologici sia addirittura superiore a quello di Egitto e Siria, un mercato sorpassato solo da quello della droga e dove le organizzazioni criminali «potrebbero presto pensare di mettere le mani». A parte la sorpresa per un aspetto fiorente dell'economia isolana ufficialmente dichiarato indenne dalle infiltrazioni criminali, i dati rivelati dai carabinieri ci suggeriscono un paio di considerazioni. La prima è sulla tipologia del settore. Ne fanno parte i tombaroli, gli intermediari, ma soprattutto ci sono gli artigiani che ricreano i reperti. Di fronte ad una domanda che supera di molto l'offerta si possono fare delle copie, con tanto di certificato. Oppure rifornire il mercato clandestino. In entrambi i casi si tratta di specialisti che possono vantare un'invidiabile professionalità, non sembra che conoscano crisi occupazionali. INTUIAMO che il mercato clandestino sarà più danaroso di quello legale, ma quest'ultimo ha potenzialità enormi. Per immaginarle, ci basti pensare che il bookshop del Louvre è uno degli affezionati clienti degli artigiani che lavorano la "terracotta antichizzata". Perché a Parigi e ovunque in Europa, in America e persino in qualche privilegiata realtà italiana, i negozi acclusi ai musei vendono ottime riproduzioni, ma anche libri e oggetti ispirati alle collezioni. In città molto attente alla loro immagine sono fra i negozi più belli, e i più rispondenti alle esigenze di un turismo colto e mediamente danaroso. Torniamo in Sicilia, dove la somma fra la bravura artigianale e la ricchezza del patrimonio archeologico potrebbe originare un piccolo miracolo economico. Non pensiamo a niente di particolarmente originale. La legge Ronchey, che prevede l'affidamento ai privati dei servizi aggiuntivi nei musei, è del 1993. Perché non si parla più della sua applicazione? Creare un vivace mercato legale porterebbe innegabili vantaggi diffusi, ma ai nostri amministratori l'archeologia deve sembrare materia ostica. Buona per qualche slogan, o come sfondo per eventi cultural-mondani. E non si tratta solo dell'ultima amministrazione, diciamo che una certa disattenzione ha accomunato i diversi governi regionali. La tutela di una parte tanto importante del nostro patrimonio, che dovrebbe essere uno dei punti qualificanti dell'esistenza stessa della Regione, è stata effettuata da Soprintendenze con gli uffici semivuoti. Perché, nonostante le molte migliaia di impiegati, alla Regione gli archeologi sono una mercé piuttosto rara. Prima di un concorso bandito nel 2000, molto lento e la cui graduatoria definitiva è stata da poco pubblicata, l'ultima selezione per dirigenti tecnici archeologi risale al lontano 1984. Da allora s'è andato avanti alla meno peggio, campando alla giornata e mettendo pezze. I lavori di scavo, inventariazione e schedatura dei materiali rinvenuti sono stati effettuati da ditte private e collaboratori esterni, spesso giovani archeologi che per lavorare accettavano contratti temporanei poco qualificanti. Si è così formata una sacca di precariato specializzato che a livello individuale ha subito notevoli danni, senza contare l'enorme spreco di competenze. E l'azione di tutela del patrimonio archeologico è rimasta nel limbo delle buone intenzioni, continuando ad accumulare ritardi: al punto che oggi la banca dati dei beni archeologici esiste in teoria, dal momento che comprende solo schede cartacee. Però, tutto bene quel che finisce bene, no? In fondo, il concorso del 2000 prevede l'assunzione di 70 archeologi. Peccato che anche in questo caso una certa superficialità abbia guidato le scelte. Che la professionalità maturata in anni di scavi e catalogazioni sia stata cancellata, a favore di bu-rocratiche anzianità alle dipendenze della pubblica amministrazione. Che resti la sgradevole impressione di una politica buona solo a ridurre e mortificare. Solo a titolo di esempio, vediamo i titoli necessari. Mentre altrove — in Italia—per accedere al ruolo di archeologo bisogna avere una laurea in lettere classiche e successiva specializzazione, in Sicilia le cose cambiano. Basta togliere l'aggettivo «classiche», la specializzazione che diventa «un anno di frequenza», e tutto diventa più facile. Una logica da condono edilizio, che squalifica e poco ha da spartire con l'archeologia, la tutela del patrimonio, lo sviluppo del territorio. AMELIA CRISANTINO
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