Il monte de'Cocci discarica di anfore Wladimiro Settimelli Unità Roma 7/1/2005
È un posto strano e singolare e racconta una parte della storia di Roma, attraverso i "cocci" che non sono stati ancora esplorati fino in fondo. Sto parlando di Testaccio e in particolare del celeberrimo Monte dei Cocci. La zona è quella di Piazza Orazio Giustiniani, via Nicola Zabaglia, via Marmorata, con l'antico cimitero degli inglesi, il vecchio gazometro con i vecchi macelli comunali e relativo Foro Boario, ora trasformati in un luogo di manifestazioni musicali, teatrali e culturali in genere. In epoca romana c'era, sempre, nella zona, l'antico" Emporium", tra via Marmorata e Franklin. Soprattutto, nella zona alla base dell'Aventino, era pieno di magazzini e depositi dei materiali che arrivavano, via fiume, dentro Roma. C'era, come tutti sanno, anche un magnifico porto per una ampiezza di cinquecento metri. Un porto che degradava, a scalinate, verso il fiume. Il complesso era stato costruito, pare, tra il 193 e il 174 a. C. Ovviamente, comprendeva anche negozi e attrezzature per scaricare il marmo che arrivava da Carrara. Soprattutto, a quel porto attraccavano grosse chiatte che trasportavano olio dalla Spagna, con anfore giganti, con tanto di bolli e timbri che ne certificavano la proveniernza e garantivano, in qualche modo, i consumatori di città. C'era però un problema: molte delle anfore, nelle manovre di scarico dei barconi, si rompevano riempiendo di cocci strade e stradine. Le anfore erano di terracotta e, durante il viaggio, si impregnavano lentamente dell'odore legnoso dell'olio e quindi non erano più utilizzabili per trasportare vino, acqua o altri liquidi . Era dunque necessario frantumarle e disperderle. Gli antichi testi, raccontano che era stato organizzato un vero e proprio servizio di recupero e trasferimento di quei cocci che venivano, sempre, accumulati non molto distante. E cioè nella zona detta, appunto, Monte dei Cocci. Quel monte artificiale era alto trentacinque metri, con una circonferenza di 850. Aveva, sulla parte verso il fiume, una specie di sentiero sterrato che serviva ai carri per raggiungere la cima e scaricare ancora e ancora cocci. A fronte del Monte dei Cocci, si apriva una grande zona pianeggiante che arrivava fino al fiume. Proprio ai lati quella zona sorsero nuove botteghe , cantine per il vino e magazzini per la lavorazione del marmo. La spianata, invece, divenne notissima e fu chiamata dei "Prati del Popolo romano" dove centinaia di famiglie, in occasione delle feste, si recavano in comitiva per assistere al "Gioco di Testaccio" Di che si trattava? Ma delle solite gare di abilità e di destrezza tra marmorari, scaricatori, facchini, vetturini e bella gioventù. Si organizzavano anche palii, corse, vere e proprie corride, tiro alla fune, gare di salto e dì lotta. Naturalmente, il ballo era al centro di tutte le attenzioni. In particolare il saltarello e la lavandarina. Il Monte dei Cocci, imperterrito, era a due passi non ancora coperto di erbacce. Feste e festeggiamenti si svolgevano in particolare per il carnevale, con maschere e cortei, prima dell'abitudine di trasferirsi fino a via del Corso. Insomma, come racconta Claudio Rendina nel suo "Guida insolita ai Tevere", erano le celebri "ottobrate" e le cosiddette "gite fuori porta". Ogni anno, veniva organizzata anche una sacra rappresentazione con il "gioco della Passione". Si trattava, in realtà, di una lunga processione che finiva proprio sulla cima del Monte dei Cocci. Nel punto di arrivo della processione venne, ad un certo momento, sistemata una croce di ferro che è ancora al suo posto. Si arrivava sul posto con delle carrettelle tirate da due cavalli bardati di gran lusso. Sopra, di solito, venivano sistemate belle ragazze nei costumi tradizionali. La cosidetta "bellona" sedeva, invece, accanto al carrettiere per essere bene in vista. Per «ar prato de Testaccio» si è scomodato persino il Belli, con un sonetto dedicato ad una nota ballerina. Dimenticavo: il giovedì e la domenica, tra le altre gare, c'era quella dei componimenti "a braccio", recitati a turno da poeti improvvisatori. I poeti, più bevevano e più andavano avanti per ore, tra risa e schiamazzi. Tutto sparì con l'arrivo della Capitale a Roma perché, secondo i piani, Testaccio divenne un rione "industriale" e con case per operai che avrebbero dovuto essere belle e confortevoli. Lungo il fiume, in pratica sotto l'Aventino, l'Istituto Case popolare costruì' un gran numero di fabbricati e tutta la zona ne risulto' profondamente modificata. Insomma, tra ponte Sublicio e Ponte Testaccio, i cambiamenti furono davvero tanti. Anche dal punto di vista dell' umore e dei rapporti umani. Con il passare degli anni, Testaccio divenne comunque un rione popolare particolarmente amato. Ora, dicono che sul Monte dei Cocci non si può più salire perché è tutto coperto di erbacce. Il Comune, recentemente, ha rimesso a nuovo la zona tra il fiume e l'ex mattatoio, costruito nel 1890 dall'architetto Gioacchino Ersoch. Ma, naturalmente, c'è ancora chi, in gran segreto, ogni tanto zappetta tra i cespugli dell'inespugnabile Monte dei Cocci alla ricerca di qualche pezzo di anfora o di qualche moneta romana. Qualcuno ha trovato. Eccome se ha trovato. O almeno ha raccontato di aver messo insieme un buon bottino. Vero? Falso? Vallo a sapere.
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