Vincolo di paesaggio più ampio Oberdan Forlenza Il Sole 24 ore 3-GEN-2005
Sono due gli aspetti più importanti della sentenza n. 7667/2004 della VI sezione del Consiglio di Stato: la riaffermazione della centralità del paesaggio e della sua tutela tra i valori costituzionalmente rilevanti e il riconoscimento del fatto che la tutela del paesaggio deve realizzarsi a prescindere da ogni valutatone degli interessi dei privati. II giudice amministrativo ha sottolineato ancora una volta aspetti rilevanti della legislazione in tema di tutela del paesaggio, che — se pur riferiti alla normativa previgente sia al Testo unico dei beni culturali (decreto legislativo n. 490/1999) sia al Codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42/2004) — conservano tutta intera la loro validità anche con riferimento alla disciplina successivamente intervenuta. Più precisamente: a) innanzitutto, secondo il Consiglio di Slato, «la materia del paesaggio non è riducibile a quella dell'urbanistica né può ritenersi in quest'ultima assorbita o subordinata», con la conseguenza che non può mai costituire un vizio della funzione di tutela del paesaggio «il mancato accertamento della esistenza nel territorio oggetto dell'intervento paesaggistico di eventuali prescrizioni urbanistiche», le quali, come si è detto, rispondono ad esigenze diverse; b) i vincoli imposti ad un bene in quanto «di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico» ed i piani paesistici costituiscono strumenti che hanno effetti del tutto diversi, anÉche se talvolta concorrenti, con la conseguenza che l'approvazione dei piani non può mai vanificare il vincolo paesaggistico; e) infine, il vincolo paesaggistico non richiede «una ponderazione degli interessi privati unitamente e in concorrenza con quelli pubblici connessi con la tutela paesaggistica», e ciò in quanto: in primo luogo, «la dichiarazione di particolare interesse sotto il profilo paesistico non è in concorrenza con gli interressi pubblici connessi con la tutela paesaggistica»; in secondo luogo, perché tale dichiarazione «non è un vincolo a carattere espropriativo», poiché essa si limita a dichiarare l'appartenenza "originaria" del bene ad una categoria di interesse pubblico; da ultimo, perché l'articolo 9 della Costituzione «erige il valore estetico-culturale a valore primario dell' ordinamento». I principi ora richiamati rappresentano la conferma di una linea interpretativa del giudice amministrativo da tempo consolidata e meritano di essere assolutamente condivisi. Ed infatti, è del tutto evidente l'assoluta autonomia delle previsioni del piano paesistico (e degli strumenti di tutela) dalle previsioni urbanistiche. È bene ricordare come anche V articolo 145 del Codice dei beni culturali attualmente prevede che «le previsioni dei piani paesaggistici (...) sono cogenti per gli strumenti urbanistici» e «sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi» eventualmente in essi contenuti. Quanto ai rapporti tra atto di imposizione del vincolo paesaggistico e piano paesistico, occorre ricordare che, mentre il primo è il provvedimento con il quale si sottopone il diritto di proprietà ad una serie di limitazioni, prima fra tutte quella consistente nel divieto di iniziative volte ad alterare o a distruggere la cosa vincolata, senza previa autorizzazione della Regione (o, su sua delega, del Comune) con la quale si verifica l'assenza di pregiudizio nella prospettata attività, il piano, invece, costituisce il principale strumento di attuazione della protezione delle bellezze naturali. Esso presuppone la imposizione del vincolo ed è il mezzo di regolamentazione generale dei beni immobili che sono assoggettati allo speciale regime di controllo amministrativo. In definitiva, mentre il vincolo costituisce lo strumento diretto di conservazione e tutela del bene paesaggistico, il piano ne rappresenta una conseguenza. Esso è uno strumento di operatività, in una logica di programmazione delle attività di salvaguardia che sottragga la tutela del bene alla episodicità della singola autorizzazione o del diniego della stessa.
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