La cultura e la crisi FEDERICO ORLANDO 03 MARZO 2009, EUROPA ONLINE
È passata una settimana dalla prima delle due scosse di terremoto che hanno investito la cultura: martedì Baricco, con l’invito a togliere gli aiuti pubblici a cinema teatro danza e accademie per rafforzare scuola e tv come nuove “agenzie culturali”; giovedì Bondi, per aver costretto l’anticonformista Settis a dimettersi da presidente del consiglio superiore dei beni culturali, insieme ad altri scienziati, subito sostituiti da rincalzi.
Come la signora Elena Ghedini, ascoltatissima consulente del ministro, ma col piccolo e magari ingiusto handicap politico di essere sorella dell’avvocato di Berlusconi: che non è un difetto e tantomeno una colpa, ma non aiuta a riconciliare con la politica chi ne diffida come Gomorra dei privilegi.
Ma ecco, in attesa di una probabile terza scossa, la bomba Franceschini: dare un assegno a tutti i disoccupati, recuperando un decimo dell’evasione fiscale, tornata alla grande, cioè consentendo alla Guardia di finanza di fare il suo dovere.
Quasi tutti hanno visto la richiesta, c’era da giurarlo, come un tentativo di rianimare i democratici, esausti di inedia. Il premier, invece, l’ha presa sul serio, per respingerla, «non si può»; proprio mentre il papa, in un ritorno al primato della dottrina sociale sulle metafisiche bioetiche, richiama politica e imprese a «solidarietà e responsabilità» verso lavoratori e famiglie.
Cosa c’entrano la cultura con la disoccupazione in crescita, la proposta di Franceschini ad aiutare chi non ha lavoro o lo perderà, l’appello del papa? C’entrano, se si guardano i beni culturali, in questo momento di emergenza, come settore produttivo, e non solo come settore pilota della cultura politica e della civiltà generale del paese.
Quest’ultimo è un problema di sempre ed è più acuto da quando sono finite in ombra le culture politiche dei partiti (liberalismo, liberaldemocrazia, socialdemocrazia, comunismo , cristianesimo sociale, destra nazionale), oggi ridotti ad aggregazioni di interessi e al bla bla di caste senza meta. In attesa che tornino le culture politiche fidando negli “uomini del futuro”, come scriveva Asor Rosa sul manifesto, e si recuperi la capacità di «organizzare la cultura», come ricordava Mario Lavia su Europa, è «alle migliaia di operatori, esperti, tecnici che costituiscono la ricchezza di quell’organizzazione » che il nostro pensiero deve andare, come lavoratori, nel momento dell’emergenza. La proposta Franceschini c’entra.
Scrive Future Brand, forse la massima agenzia di valutazione culturale, che l’Italia resta ancora al primo posto nel mondo per le città d’arte, precipita sotto il decimo per il paesaggio, addirittura oltre il quindicesimo per i litorali e le spiagge. È su questo corpo piagato di ferite da cemento e da baracche, che s’abbatte la politica di questo governo, cui Bondi dà certo un suo contributo personale (il titolo “Il disastro Bondi” non l’abbiamo fatto noi).
L’accusa è di svilire l’amministrazione dei beni culturali, delegittimare la loro tutela pubblica, devitalizzare e quindi alla fine liquidare il ministero che fu di Spadolini e che ha avuto in Biasini, Melandri, Rutelli ministri consapevoli, preparando così la privatizzazione commerciale dei beni più “ricchi”. Una politica che, nella cultura di un pragmatismo mercatista, finirebbe con l’impoverire il paese e arricchire i saccheggiatori.
Lo slogan di destra, condiviso in parte da persone che in parte non sono di destra (come Chicco Testa), e cioè che nelle soprintendenze occorre gente che «sappia leggere un bilancio », dice implicitamente che i soprintendenti non sanno far di conti e che farli è comunque preminente rispetto alle scelte scientifiche ed estetiche: per esempio, se sia lecito sottrarre al loro microclima i fragilissimi Bronzi di Riace per portarli al G8 e consentire a Berlusconi di mostrarli ai signori (e alle signore) della sua compagnia di giro. Così, in attesa che arrivino i manager dei bilanci, e si moltiplichino i commissariamenti (Pompei, Ostia, aree archeologiche di Roma), si rimandano sine die – scrive Vittorio Emiliani – i piani paesaggistici del codice Settis-Rutelli, si autorizza la cementificazione dell’Agro romano e del litorale laziale, mentre continua lo strazio paesaggistico e ambientale di tutte le regioni. Lavoreranno i muratori, possibilmente clandestini e in nero, e diminuiranno gli “addetti” alla cultura, che fino a un anno fa presidiavano un settore in crescita: nel decennio 1998- 2007 le presenze nei soli musei erano aumentate da 25 a 34 milioni (33%) e gli incassi raddoppiati. L’anno scorso c’è stata l’inversione di rotta: il turismo culturale è caduto; e la previsione del 2009 è un’ulteriore contrazione del 4,5%. Certo, c’è la crisi per tutti. Ma quanto nuocciono all’estero (da dove proviene un terzo abbondante del turismo culturale) le notizie capitoline sul dissesto dell’archeologia romana? E la riduzione dei fondi Enit per la promozione turistica non ci riporterà agli orari corti e ai musei chiusi, com’era prima dell’Ulivo, facendo imbestialire stranieri e italiani? Eppure, c’è agli atti una pagina della nostra storia culturale, quella della legge Biasini e dell’amministrazione Rutelli al tempo del giubileo, che consentì a Roma un’esplosione di infrastrutture culturali laiche nel pieno e in sintonia con un evento religioso: tra l’altro, l’ammodernamento di musei (Capitolini, Borghese), l’apertura di nuovi (Altemps, Massimo, Centrale Montemartini, ecc.), creando posti di lavoro permanenti, per una folla di “utenti” crescente. Qui si parla di conciliabilità e anzi di alleanza fra cultura, lavoro e redditività, anche se i nostri sono brevi cenni sull’universo. Purtroppo, cenni prevalenti sulle conseguenze materiali dell’avviamento dei beni culturali alla privatizzazione e dell’imbavagliamento della cultura. Dicono che al serafico Bondi succederà l’isterico Quagliariello (quello che in senato accusava di omicidio chi aveva ostacolato il decreto su Eluana: Napolitano in testa, I suppose). Se è così, passeremo dalla notte alla mezzanotte. E saranno scintille, indispensabili per vederci un po’.
http://www.europaquotidiano.it/site/guarda.asp?id=4184
|