«Buio pesto sulla cultura» Fabio Isman Il Messaggero, 28 novembre 2005
IN DIECI anni, ma soprattutto dal 2002 in qua, i fondi per il funzionamento dei musei statali e delle soprintendenze, cui essi fanno capo, sono diminuiti del 57 per cento; che ne pensa il ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione? «In termini aziendali, è un caso tipico; si spreme una azienda efficiente, per pagare i debiti di altre, che lo sono di meno; fino al punto che l’“azienda buona” collassa, e non è più in grado di funzionare, né di pagare i debiti altrui. Non amo parlare di fatturato; però, un dato sfugge: che quello dei beni culturali non è formato dagli introiti dei musei, e nemmeno da quelli, pur ingenti, del turismo culturale, che è in crescita continua. Anzi, se il turismo “tiene” in Italia, e non “tiene” poi troppo, il merito è proprio del turismo culturale. Il vero fatturato del nostro patrimonio è l’emozione estetica: cioè quell’esperienza che dilata i confini del nostro animo; e il patrimonio storico ed artistico è un punto di riferimento per la costruzione della coscienza d’un popolo e della propria storia. Mi oppongo, e m’opporrò strenuamente, ad ulteriori “tagli”». Ma intanto, dal 2002 ad oggi, la coalizione di cui lei fa parte ha falcidiato in abbondanza quei fondi, non è vero? «E’ negli ultimi quattro anni che il Paese ha vissuto una situazione di grave stagnazione. E ovunque è assai diffusa l’errata convinzione che i beni culturali costituiscano un lusso voluttuario, per cui diventano la prima palestra dove si compiono riduzioni di bilancio. Ma questo è assai miope. “L’uomo vive d’arte e di cultura”, spiegava Giovanni Paolo II; arte e cultura non sono qualcosa in più: costituiscono lo specifico della natura umana. Non andrebbero tagliate mai: nemmeno nei momenti di difficoltà; e io ritengo che, nel passato, si sia ecceduto con i “tagli” nei confronti del patrimonio storico ed artistico del nostro Paese». Eppure, si protesta tanto per le riduzioni che subiscono cinema e lirica, ma poco per quelli di “archi & colonne”. «Si crede che, nell’ordine, la cultura sia rappresentata dal cinema, dalla lirica, dalla prosa, e dallo spettacolo dal vivo; invece no: sempre nell’ordine, prima vengono i libri, gli archivi, i musei, l’archeologia, l’architettura. Per il Fus, il Fondo unico dello Spettacolo, si sono compiuti dei passi avanti, e parte delle riduzioni proposte sono state evitate; per i beni culturali, invece, non vedo la luce. Ne ho parlato con Berlusconi e Tremonti, trovando orecchie attente, più quelle del Presidente del Consiglio; però la situazione, finora, non si è sbloccata». Ministro, e quali ne possono essere le conseguenze? «Saremo presto costretti a ridurre gli orari di qualche museo; ma anche assai peggio. Al Palatino, è crollato un muro farnesiano alla Domus di Tiberio; dopo, s’è scoperto che non era stato costruito per il meglio; ma di muri del genere, in quel luogo, ce ne sono 96. Aggiungo: se dovesse crollare, poniamo, il Colosseo, dopo si riuscirebbe certo a trovare qualsiasi cifra per ricostruirlo; non è meglio che, a costi assai minori, lo teniamo in buono stato?». Invece, qualcuno pensa, assai stoltamente, che i beni culturali possano mantenersi da soli: tanti lo credono. «Non accade da nessuna parte del mondo; e ogni paragone con gli altri Paesi non tiene conto delle peculiarità e delle differenze che esistono tra i singoli Stati, e le diverse situazioni. Tuttavia, questo governo ha intrapreso una riforma che, secondo me, va nel senso giusto. Però non si può pensare che il privato subentri al pubblico solo perché quest’ultimo chiude i rubinetti dei finanziamenti. Anche se volessimo andare nella direzione degli Usa, serve tempo: quando avremo fatto 20 anni di politica di tasse basse, se ne potrà riparlare. Poi, noi dobbiamo puntare a un modello diverso: ad un sistema misto, di collaborazione». A tutto questo, si aggiungono poi dei terribili problemi di organico. «Ad esempio, manca il personale amministrativo; e senza chi lo aiuti a spendere i soldi, anche il più bravo archeologo vive grosse difficoltà. Il blocco globale del turnover è pernicioso. Io capisco il furore draconiano dell’economia; bisognerebbe invece essere capaci di distinguere tra le assunzioni inutili, e quelle necessarie; qui c’è spazio per assumere persone che facciano un lavoro vero. E’ da tempo immemorabile che non si fanno concorsi. La funzionalità di un’amministrazione è legata ai gruppi di lavoro; se manca un elemento, si riduce l’efficacia di tutta la macchina: la sua velocità è quella del pezzo meno efficiente; se poi un pezzo manca del tutto, sono davvero guai». Ma, Ministro, se non le danno i fondi di cui i musei hanno bisogno, che farà? Andrà lei agli Uffizi, dicendo «sono le due del pomeriggio, e ora non si entra più»? «Ho detto che se non si trovano soluzioni, il rischio è di chiudere. A dire il vero, ho detto chiudere La Scala, conoscendo quando conta nell’immaginario italiano. Io ho lanciato l’allarme; ho detto che mi sarei dimesso senza una sostanziale rifusione dei “tagli”, e per il Fus è in parte avvenuta. Ma per archivi, biblioteche, musei, archeologia, beni architettonici, la situazione è ancora gravissima». Il nostro è l’unico Paese che riduce questi stanziamenti; e lei, come si sente? «Il turismo vale il 10 per cento del nostro Pil; il 19 per cento in Spagna, quindi noi potremmo fare di più. Sole e mare non bastano più: altrove, costano meno che da noi. Il nostro segreto è l’offerta integrata, i beni culturali il nostro vero valore aggiunto. Per questo bisogna investire. Mi ricordo Ezio Vanoni: volle le autostrade, l’acciaio e l’energia, e venne il boom economico. Io qui mi trovo benissimo: lieto di fare una battaglia contro “tagli” che portino danni irreparabili; e di tutti i ministri, sono il solo che amministra una grande potenza. Gli Usa hanno le portaerei; noi, Michelangelo, Raffaello e Leonardo e tanti altri. All’Expo di Haichi abbiamo avuto tre milioni e mezzo di visitatori; altri Paesi, molti di meno». A proposito di potenze e portaerei: con il ministro Martino, che nega la funzione museale di Palazzo Barberini e vuole mantenervi il Circolo Ufficiali, come va? «Lui è il ministro della Difesa, e noi siamo in guerra».
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