Un'idea semplice ma seria per abbattere il debito pubblico Enrico Cisnetto Il Foglio, 25/11/2005
E' venuto il momento di mettere mano al debito pubblico. Con la decisione della Bce di alzare i tassi d'interesse, irritualmente preannunciata da Jean Claude Trichet per frenare le foltissime attese dei mercati, si è aperta una nuova stagione, assai più difficile della precedente, per la nostra finanza pubblica.
Due settimane fa. in questa rubrica, ho provato a calcolare gli effetti di quella che allora era solo una misura attesa sul piano del deficit, arrivando alla conclusione che la prossima Finanziaria, la prima della nuova legislatura, partirà da una manovra minima di 50 miliardi di euro.
Oggi voglio invece capire cosa succede al nostro debito, considerato che la UE prevede che alla fine di quest'anno esso arrivi ad avere un rapporto con il pii di 108,6 per cento, oltre due punti in più dell'anno scorso, mettendo fine a un processo seppur lento di riduzione di questo indice, iniziato nel 1995 dopo che nel 1994 il debito-pil aveva toccato il record di 126 punti di pil.
I più semplicisti dicono: beh, se undici anni fa il debito pesava sul pil per ben 17,4 punti in più di quanto sarà a fine 2005, pazienza per l'inversione di tendenza ma non vale la pena fasciarsi la testa. Peccato che l'Italia si sia assunta l'impegno, firmando il patto di Maastricht, di ridurre il debito al 60 per cento del pil in un tempo congruo (non si è mai messo nero su bianco quanto fosse, ma informalmente si era stabilito che fosse al massimo di due decenni), e che nel frattempo - secondo quanto recita uno studio di Giuseppe Guarino, che molti leader politici hanno in mano ma fanno finta di non aver ricevuto - tra il 1992 e il 2004, tenendo conto anche dei proventi delle privatizzazioni si sia spesa l'astronomica cifra di 800 miliardi di euro in moneta rivalutata per cancellare la parte eccedente il 60 per cento di deficit-pil (630 miliardi a fine 2004) trovandoci ora lontani ben 48 punti percentuali da quell'obiettivo.
Ora, se si considera che in questo scenario drammatico, l'unica nostra fortuna sono stati proprio gli interessi stracciati - ciononostante l'anno scorso abbiamo pagato interessi sul debito per 5 punti di pil (contro il 2,7 per cento di Francia e Germania e il 2,9 di media Eurolandia) - e che ora i tassi aumentano, si capisce perché qualcuno (come lo stesso Guarino) si assume la responsabilità di pronunciare la fatidica parola default. Un grido d'allarme che condivido e che vale la pena di rilanciare ad alta voce nell'assordante rumore di fondo di uno scontro politico del tutto improduttivo.
Naturalmente denunciare non basta. Certo, la consapevolezza è il primo degli strumenti per affrontare l'emergenza, ma occorre anche capire come si può intervenire. Finora si sono viste in campo due logiche. La prima quella del centrosinistra: ridurre il debito aumentando l'avanzo primario e privatizzando. Due buone soluzioni in via di principio, ma realizzate con i piedi: il primo obiettivo si è raggiunto a scapito della crescita (il 1996-2001 erano gli anni in cui sarebbe stata più agevole la trasformazione del modello di sviluppo), il secondo a scapito del nostro capitalismo (Telecom docet). La logica del centrodestra, invece, è stata quella della finanza straordinaria, a cominciare dalle cartolarizzazioni degli immobili, che ha consentito al governo Berlusconi di evitare decisioni impopolari ma certo ha peggiorato la finanza pubblica (avanzo primario verso l'azzeramento, deficit ben oltre il 3 per cento, debito che cresce sia in valore assoluto che in percentuale sul pil) e prodotto crescita zero.
Il censimento del Demanio
Di fronte al fallimento di entrambe queste politiche e dunque del "bipolarismo all'italiana" - come evidenzia l'Economist. che una volta tanto fa un'analisi condivisibile -non rimane che il coraggio delle "grandi decisioni". Occorre immaginare, cioè, un'operazione di tipo straordinario, che consenta di abbattere in un colpo solo il debito di alcune decine di punti. Qualcuno che si è messo a fare dei calcoli c'è. Guarino. per esempio, ha provato a ragionare su un intervento che abbatta il debito al 70 per cento del pii, pari a circa 430 miliardi. Il meccanismo più semplice (di cui il Foglio ha già scritto) potrebbe essere quello di costituire una Spa, di cui il Tesoro avrebbe il 100 per cento per poi gradualmente scendere grazie alla quotazione nelle maggiori Borse, nella quale si farebbero confluire partecipazioni (Eni, Enel ecc.) e beni immobili (abolendo il vincolo dell'inalienabilità) appunto per un ammontare di 430 miliardi. Da questo punto di vista, la notizia che l'Agenzia del Demanio, brillantemente guidata da Elisabetta Spitz, ha terminato il censimento del patrimonio immobiliare dello Stato, è particolarmente favorevole perché consente di scegliere con più facilità tra edifici pubblici che sono già a reddito e altri (compresi quelli di valore artistico e ambientale) cui manca la valutazione dì mercato (Guarino propone di stabilirla partendo da un canone di locazione del 3 per cento). Insomma, una public company per abbattere il debito e, risolti i problemi di finanza pubblica, rilanciare l'economia. Possiamo parlarne, tra una discussione su Celentano e una su Santoro?
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