Mali culturali. L'Italia dei tagli/I musei statali sono aumentati del 20% in dieci anni Ma le risorse sono più che dimezzate di FABIO ISMAN 26-NOV-2005 Il Messaggero
QUESTO è un viaggio in un Ministero ridotto al lumicino: quello "degli archi e delle colonne”, cui è demandato di provvedere alla massima ricchezza nazionale, cioè l'azienda "Leonardo, Michelangelo, Raffaello & Co", non ce la fa più nemmeno a sopravvivere. In quest'ultimi tempi, s'è molto (e giustamente) protestato per i "tagli" al Fus, il Fondo per lo spettacolo, che mettono in crisi la lirica e il cinema; ma assai meno s'è parlato dei beni culturali, che ancor più pesanti "tagli" subiscono ormai da anni. «Avanti di questo passo, e dovrò davvero chiudere qualche museo», ammette il ministro Rocco Buttiglione. aggiungendo che tutto ciò gli sembra «proprio assai miope». Ovviamente, i sindacati usano termini più icastici: «Siamo alla canna del gas», avverte Libero Rossi, storico capofila della Cgil; «la situazione non è più sopportabile», afferma Gian Franco Cerasoli, UIL. Poche cifre bastano a spiegare perché. Prendiamo, ad esempio, il caso dei musei, s'intende quelli statali. Oggi, sono 420, di cui 186 gratuiti; attirano 31 milioni e mezzo di visitatori all'anno, e garantiscono oltre 90 milioni di euro d'introiti. Ma, soprattutto, costituiscono un nostro biglietto da visita, e sono una componente fondamentale dell'educazione collettiva, del nostro essere come siamo: cioè diversi da chi viva in qualsiasi altro Paese. Ebbene, nell'ultimo decennio, il numero dei musei statali italiani è aumentato del 20 per cento; e si sono prolungati del 28 per cento gli orari in cui si possono visitare (accadde con i governi Prodi e D'Alema). Tuttavia, le risorse per il loro funzionamento, e per quello delie soprintendenze, cioè gli uffici cui fanno capo, si sono invece più che dimezzate. Aggiornando le cifre all'odierno valore dell'Euro, tra il 1996 e il 2005, i fondi per le pure spese di funzionamento sono diminuiti esattamente del 57,1 percento. Non solo: si sono dimezzati (-55,5 per cento) anche quelli per far fronte ai costi telefonici. E per noleggiare le vetture di servizio (che non sono certo le "auto blu" di rappresentanza; bensì mezzi indispensabili, ad esempio, per compiere i sopralluoghi), le risorse sono il 37,6 per cento in meno; con l'aggravante che se nel 1996 era possibile, per i Ministeri, possedere dei veicoli di proprietà, oggi non più: è vietato, ad esempio, alle soprintendenze.
Il "grande crack” (perché, con parametri di bilancio simili, qualsiasi azienda privata porterebbe i libri in tribunale) è iniziato nel 2002. Gli 85 milioni d'euro/2005 stanziati nel '96 per far funzionare musei e soprintendenze, nel 2002 erano già diminuiti: ma in misura ancora sopportabile: ammontavano a 71 milioni di euro/2005; oggi, sono invece precipitati a poco più di 36 milioni: in tre anni, dimezzati. «Esistono delle soprintendenze che ormai già da vari mesi hanno dovuto cancellare le missioni dei loro funzionari», spiega Irene Berlingò, l’archeologa che rappresenta la categoria, riunita nella sigla di Assotecnici. Perfino i buoni-benzina ordinari per le auto (queste sì "blu") del Gabinetto del Ministro, del Ministro, Viceministro e dei Sottosegretari sono finiti da mesi. Il portavoce di Buttiglione gira in motorino. Per sopperire a queste emergenze, al Ministero lo ammettono a mezza bocca perché non sarebbe lecito, s'usano come fondi ordinari, a titolo sperimentale, le risorse destinate invece agli investimenti: ai "progetti speciali", e così via. Ma, come da proverbio, piove sui bagnato: gli stessi introiti del turno supplementare del Lotto, creato il mercoledì proprio per sopperire alle carenze di risorse per "archi & colonne", da un po' di tempo servono pure per altri scopi; quindi il loro gettito, come ogni altra fonte di sostentamento, s'è ridotto; e così pure la quota dell’ “8 per mille” del prelievo fiscale destinata al dicastero.
In compenso, si fa per dire, il numero delle soprintendenze è aumentato: la recente riforma del Ministero n'ha aggiunte infatti una per Regione, rette da dirigenti generali; e a Roma, nell'amministrazione centrale, da cinque che erano, i direttori generali sono divenuti 14; complessivamente, il Ministero ora ne possiede ben 40. Mentre s'ingigantiscono i vertici, però, «delle 66 soprintendenze che esistono nel Paese, la vera "ossatura" del Ministero, 27, cioè quasi la metà, risultano vacanti dei rispettivi responsabili», dice Irene Berlingò.
Un quadro impietoso, quanto mai allarmante. «Se mancano i fondi per le missioni, si paga a vuoto chi le dovrebbe svolgere», spiega ancora il Ministro. E le ridotte disponibilità, provocano effetti devastanti; un paio d'anni fa, il museo archeologico di Napoli, uno dei più importanti nel nostro Paese, ad agosto aveva esaurito il capitolo di spesa per la pulizia dei servizi igienici, già ridotta da due ad una sola volta al giorno. Ed è appena un caso. La compressione delle risorse per i beni culturali pone il nostro Paese in controtendenza con gli altri europei, che. invece, le stanno incrementando. Al patrimonio culturale italiano, secondo Federculture, va lo 0,39 del bilancio delle Stato, e i sette decimi sono pei spese correnti: la media europea è dello 0.50 ma, pur possedendo patrimoni di ben minore entità, Francia, Germania e Portogallo spendono di più: rispettivamente l'uno, l'I,35 e lo 0,90 per cento. Il raffronto è ancora peggiore se si paragona il bilancio dei Beni culturali al Pil: lo 0,16 per cento in Italia, lo 0,35 in Portogallo, lo 0,9 in Spagna, l'un per cento in Francia, l'1,35 in Germania. Eppure, Michelangelo, Giotto e Leonardo — per citare solo tre nomi — non erano italiani? Vedremo che cosa ne pensa il Ministro; e vedremo che, anche per quanto riguarda gli organici, i Beni culturali non sono ormai lontani da uno stato quasi preagonico
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