Sassari. Il Soprintendente: Ribadisco che l'ultimo progetto rappresenta un ibrido privo di coraggio. Stefano Gizzi La Nuova Sardegna 25/11/2005
Dal Soprintendente ai beni architettonici, Stefano Gizzi, abbiamo ricevuto questa nota che pubblichiamo.
Stefano Gizzi Soprintendente per i Beni architettonici e il paesaggio per le province di Sassari e Nuoro
Desidero esplicitare alcune delucidazioni sulla questione del nuovo volto proposto su Piazza Italia, dopo i recenti dibattiti e alcuni articoli pubblicati sugli organi d'informazione, dato che alcune mie idee sono state, forse, eccessivamente enfatizzate e non riportate in maniera del tutto esatta. La discussione su piazza d'Italia è senz'altro utile e stimolante da un punto di vista culturale e mi sembra perciò opportuno chiarire alcuni criteri che sottengono i pareri formulati finora dalla Soprintendenza da me diretta. Premetto che mi esprimo solamente da un punto di vista tecnico-architettonico, senza assolutamente entrare nel merito di scelte politiche, o di altro genere, dell'amministrazione comunale, né tantomeno pronunciare giudizi sul suo operato, meritorio, anzi, nell'aver aperto, forse per la prima volta, un costruttivo colloquio con la cittadinanza. Anche se le posizioni della Soprintendenza e del Comune sono diverse, ciò non significa che i rapporti fra i due enti non siano cordiali e che il colloquio non sia costruttivo. In occasione dell'incontro svoltosi alla Camera di commercio ho sostenuto che l'ultima revisione progettuale proposta dall'amministrazione comunale rappresenta un ibrido, in quanto non palesa il coraggio di un'innovazione in senso contemporaneo (siamo nel 2005 e non nell'Ottocento) e, al contempo, non ha i canoni di un restauro conservativo. Uno dei princìpi fondamentali del restauro, infatti, dal punto di vista "etico" e "morale" (e l'aspetto "etico" ne costituisce uno dei cardini, fin dall'epoca di John Ruskin), è quello che ogni intervento attuale su una preesistenza deve scongiurare il pericolo del "falso storico", non ingannare il pubblico facendogli credere antica una integrazione odierna e, soprattutto, evitare rifacimenti in stile o secondo il nostalgico adagio del "com’era e dov'era", ma deve recare il segno della nostra epoca, beninteso accordandosi con il contesto attraverso un'accurata analisi delle situazioni e dopo un attento ascolto della vocazione dei luoghi. Il lato "etico" e "morale" riguarda intrinsecamente la disciplina del restauro e non parlo certo di "moralità" di scelte amministrative. Vale forse la pena dichiarire questo equivoco, dato che la distinzione può apparire labile e sottile: "etica" del restauro semplicemente come principio tecnico-estetico, riguardante la necessità di "denunciare" sempre (con i mezzi più svariati) il nuovo intervento per non indurre in inganno il fruitore. La linea del ripristino tout-court non è né quella del ministero per i Beni Culturali né quella della Soprintendenza. Non si possono avallare improbabili ritorni al passato, né, tanto peggio, rimandia un presunto "splendore originario", posto che scopo del restauro è, al contrario, quello di trasmettere alle generazioni future il bene così come ci è giunto con l'intera carica delle sue trasformazioni, addizioni, palinsesti, stratificazioni nel tempo, beninteso valutando ognuna di esse secondo un giudizio critico e selezionando le scelte (mai, peraltro, da parte di una sola persona). Ciò, a mio modo di vedere, non appare dalla nuova soluzione per piazza d'Italia, dove si spacciano per ottocenteschi una seriedi arredi(da quelli relativi all'illuminazione sino alle panchine e alle ringhiere) che sono pessime copie (neanche fedeli) di originali, i quali sono stati peraltro, a suo tempo, senza alcuna remora e opposizione da parte di chi di dovere, traslati o spostati (come i lampioni finiti ad "abbellire" gli spazi pubblici di Sorso). Mentre il progetto presentato a fine settembre, che poteva piacere o meno (ma ciò rappresenta un dato soggettivo), possedeva una propria coerenza interna, questa nuova proposta, riduttiva, frutto di un compromesso, come tutti gli accomodamenti non solo non convince, ma è frutto di confusione, di incertezza progettuale, nel voler a tutti i costi recepire le voci più svariate e discordanti e dissonanti, senza una logica convincente. La domanda che rivolgo è come mai, delle idee di ben 32 gruppi progettuali che si sono cimentati sul tema, fra i quali sono compresi alcuni tra i più attenti professionisti sardi, non sia stato, alla fin fine, tenuto in alcun conto: ciò mi sembra, francamente, anche una manifestazione di sfiducia nei confronti di colleghi architetti della città e al loro sforzo di traduzione, in chiave architettonica, delle esigenze proposte. Nella soluzione settembrina, se il tipo di pavimentazione, in granito dalle diverse sfumature, compresi i "disegni a terra", aveva un senso nel recepire alcune assialità che andavano a raccogliersi all'interno dei quattro lievi rialzi centrali e nel ribaltamento "disegnato" dei prospetti dei palazzi limitrofi (un tema più argentino che italiano: si pensi alle realizzazioni di Miguel Angel Roca per gli spazi pubblici di Cordoba) nella nuova proposta appare del tutto incongruo. Perché impreziosire col granito (per di più di vari colori) uno spazio che è sempre stato semplice, sobrio e soprattutto unitario. E se restauro conservativo dev'essere, che senso ha tornare a un improbabile stato ottocentesco (e a quale, poi, delle varie fasi della piazza, visto che sono sempre mutate?), posto che a noi non è concesso invertire la freccia irreversibile del tempo, così come resuscitare i morti? Ultima questione, quella dei parcheggi. Non ho mai dichiarato, e rettifico quanto uscito sul giornale, che l'ipotesi, da parte dell'assessore competente, fosse stata sollevata in Conferenza di servizi: si trattava di una semplice idea interna, la quale, peraltro, mi sembrava, e continua a sembrarmi, interessante, e come tale proponibile.
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