Il futuro nel turismo di alta qualità Guido Piga e Stefania Puorro La Nuova Sardegna 25/11/2005
LA MADDALENA. Che si tratti di ristrutturazione o di potenziamento, poco conta. Quella base non servirà più alla marina degli Stati Uniti. Non andranno via solo i sottomarini: entro sei mesi, massimo un anno, come ha annunciato ieri sera il governatore Soru, a Santo Stefano resteranno solo le mura della trentennale presenzaamericana. Quelle sì che ci sono, e anche le ruspe sono in movimento. E' il primo paradosso. Solo due anni fa, la Us Navy aveva dato in appalto alla Pizzarotti & C. di Parma, terza impresa d'Italia per volume d'affari nelle costruzioni, un intervento da 25 milioni di euro. Una somma di denaro mai spesa prima e che aveva fatto insorgere mezzo mondo politico, dai Ds a Rifondazione, dagli ambientalisti agli indipendentisti. La paura era una: «Gli Usa vogliono fare della Maddalena la più grande base militare del Mediterraneo». Una tesi sorprendentemente rafforzata dal capitano Fritz Roegge. Il comandante dell'Attività di supporto navale alla Maddalena, (ha preso il posto di Greg Parker, rimosso dopo l'incidente del sommergibile Hartford), solo lo scorso luglio, in un'intervista all'L.A. Times, aveva detto: «E' indispensabile mantenere questa base perché detiene alcune delle più potenti armi Usa a disposizione di eventuali e futuri interventi sia americani che delle forze alleate». Che cosa è cambiato nell'amministrazione Bush in questi due anni? Non si sa. Una sola la certezza: l'investimento da 50 miliardi di vecchie lire (che non verrà, forse, mai portato a termine) è l'ultimo della Us Navy nell'arcipelago. A questo punto, è necessaria un'analisi. Che però deve tenere conto di molte contraddizioni. Perché quella americana è un'economia a due facce. I più grossi appalti se li sono aggiudicati imprese che pagano le tasse fuori dalla Sardegna. E questa potrebbe essere materia per la battaglia di Soru sulle entrate fiscali. La Pizzarotti, per esempio, è di Parma: oltre che a Santo Stefano, sta costruendo un villaggio a Cala Chiesa. Per ora gli americani vivono soprattutto in due complessi residenziali. Uno è a Trinita: è gestito dalla Seis spa, sede fiscale a Roma, e fa parte del gruppo Impregilo. Il secondo complesso è a Padule: dietro c'è la Maria srl, sede a Bergamo. Degli impianti elettrici della base si è sempre occupata la Gemmo Impianti spa, sede a Vicenza. I trasporti del personale americano vengono garantiti dalla Insuline srl di Pisa. «Ho sempre sostenuto che gli americani non hanno prodotto un'economia forte per la Maddalena» dice l'ex sindaco dc Pasqualino Serra. La sua famiglia è proprietaria dei terreni di Santo Stefano; 5 ettari espropriati, 60 sotto servitù. Ogni anno un indennizzo misero (e mai ritirato): 600 euro. Un altro ex sindaco, invece, la pensa in maniera opposta. «Con la chiusura della base, rischiamo di perdere più di 300 posti di lavoro. Le imprese che si sono aggiudicate gli appalti, danno da mangiare anche ai maddale-nini», spiega Franco Del Giudice, repubblicano. E Settimo Nizzi, sindaco di Olbia, è ancora più diretto: «Senza gli Usa, faranno la fame». Secondo la Uil, 40 maddalenini lavorano alla Gemmo, altri 40 alla Penauil (la multinazionale delle pulizie), 180 alla Nsa, più altri dipendenti nei trasporti. E Roegge aveva detto: «Noi contribuiamo con oltre 40 milioni di dollari all'economia locale». Ma l'unico studio finora disponibile, del 1996, sostiene il contrario. L'amministrazione di Serra lo affidò alla società Izi di Roma. Risultato: in media 2 miliardi di vecchie lire di perdita all'anno. Ecco un passaggio della relazione (valori 1995): «A fronte di 10 miliardi di lire l'anno di benefici per la collettività maddalenina derivanti direttamente e indirettamente dalla presenza della base americana, risultano 12 miliardi annui di costi sociali che comportano uno squilibrio annuale di 1 miliardo e 800 milioni. In 25 anni si è cumulato un disavanzo economico di quasi 45 miliardi di lire». Angelo Comiti, oggi sindaco, sposa quello studio. Ma c'è anche chi, lavorando nell'indotto della base Usa, teme per il proprio futuro, per quello dei propri figli: «Non ci sono solo le persone che dipendono in maniera diretta dagli americani, ci siamo anche noi lavoratori delle ditte più piccole, sparse in tutta la Gallura, che abbiamo un reddito grazie agli Usa - è scritto in una mail -. Ma sembra che non esistiamo, sentendo parlare Soru, la Murrighile e il nostro sindaco». E infatti sono loro tre, insieme allo Stato, ad avere il compito di trovare un'alternativa alla presenza americana. A livello regionale, avrà un suo peso il piano paesaggistico. E' da lì che si capirà che cosa si potrà costruire alla Maddalena. «Credo che sia importante sapere al più presto quali saranno le infrastrutture che la Regione vorrà realizzare per garantire lo sviluppo turistico - dice Comiti -. Come si sa, la ricettività alberghiera è limitata». Il che significa ottenere più cubature per gli hotel (uno dei quali, secondo il piano urbanistico comunale, potrebbe essere edificato proprio a Santo Stefano). Ci sarebbero progetti per altri 3 alberghi a cinque stelle. E poi c'è l'Arsenale. Ieri Soru ha annunciato che passerà alla Regione. Pronti per la riconversione due piani (uno è dell'Aga Khan, l'altro di una società francese) «e i 180 impiegati civili della base - ha detto il presidente - dovranno andare lì». Sempre ieri, poi, è arrivato l'impegno del sindaco di Arzachena Pasquale Ragnedda per spingere Barrack, proprietario della Costa Smeralda, a incontrare il sindaco della Maddalena. |