Immobile su palmare ma il Demanio non sa che farci Julia Giavi Langosco Il Sole 24 Ore, 25-NOV-2005
Ha cinque anni. È consapevole di possedere immobili per 70 milioni di metri cubi. Ma non ha ancora deciso che cosa fare da grande. È sostanzialmente questo il quadro che emerge dall'incontro-scontro con alcuni protagonisti del reality (gestione del patrimonio immobiliare) in Italia, organizzato da Elisabetta Spitz, direttore generale dell'Agenzia del Demanio, per fare il punto su quanto fatto e quanto resta da fare nella valorizzazione del patrimonio pubblico.
A buon diritto Spitz rivendica i 3,3 miliardi freschi portati a casa con il Fondo immobili pubblici Non meno meritevole la tenacia, con cui la sua amministrazione è riuscita a convincere un numero crescente di inquilini dello Stato a pagare l'affitto. Nel 2005 si è raggiunto un livello di riscossione del 70% sul dovuto. Sembra poco? Nel 2002 non superava il 30%. Anche il censimento degli immobili pubblici da valorizzare, di cui si parla da un decennio, è a buon punto. Circa 1.400 tecnici hanno passato al setaccio il territorio, acquisendo 17 milioni di informazioni e 600mila immagini. Tutto materiale che Spitz e gli 830 che lavorano con lei presto potranno richiamare in tempo reale sul display di un palmare.
La documentazione raccolta consente di monitorare fari, spiagge, caserme, aeroporti dismessi, ma anche ville storiche, castelli diroccati e molto altro di quanto fa Demanio storico-artistico. Ma proprio qui sta il punto critico. Su come trattare i beni culturali, le posizioni sono infatti molto divise. Nemmeno i pilastri normativi vigenti aiutano a capire. La legge 1089, che da decenni regola il regime vincolistico dei palazzi di valore artistico, contempla l'alienazione, pur con certe condizioni. Il ben più ostico comma 1 dell'articolo 823 del codice civile, non contempla invece l'alienabilità del patrimonio storico-artistico.
Mentre l'articolo 12 del codice dei beni culturali, introdotto nel 2000, non disdegna il termine alienazione. Risultato: negli ultimi due anni e mezzo non si è venduto nulla. Ma sul piano concettuale, come è stato rilevato proprio nel corso del faccia a faccia di Spitz con i big dell'immobiliare in Italia, non è nemmeno questo che preoccupa. Ciò che va definito da parte della pubblica amministrazione, Demanio in testa, è che cosa si intenda per patrimonio culturale.
Va accettata una visione storicistica, prevalente nelle soprintendenze, che mira sostanzialmente a conservare l'esistente, secondo l'accusa lanciata dal presidente dell'Ance, Claudio De Albertis? Oppure si può fare spazio anche a una cultura in fieri? Il quesito è cruciale. Perché accettare la seconda ipotesi significa considerare come patrimonio culturale anche la capacità progettuale di molti nuovi talenti dell'architettura, che in questo caso, a buon diritto, potrebbero pretendere di sostituire con le loro opere, una parte, non primaria, dell'esistente. Come del resto è avvenuto a Roma, a Firenze, a Venezia nel corso degli ultimi mule anni. La valorizzazione futura del patrimonio immobiliare pubblico passerà, anche attraverso questa scelta di campo.
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