Roma. Il Museo Ebraico, la storia di tutti Beatrice Picchi Messaggero, Roma, 22/11/2005
Nuove sale per il Museo Ebraico. Argenti, lampade, rotoli della legge, ma anche oggetti di uso quotidiano
Ci sono oggetti, dentro le bacheche, che raccontano storie e ricordi e fede della comunità ebraica, la più antica d'Europa con 2.200 anni di storia. Ci sono cose che puoi spiegare solo così, vedendole, «come fanno i bambini, gli studenti che ogni anno vengono a visitare il museo ebraico, qui al Ghetto, che poi tornando a casa trasmettono le loro emozioni ai genitori ed è con loro che tornano la volta successiva», narra Daniela Di Castro, direttrice del museo. Ci sono argenti di artigiani romani del Seicento, tessuti ricamati d'oro e di velluti usati per avvolgere i rotoli della legge, e lampadari e manoscritti medievali, un armadio del Tempio Catalano e i mantelli seicenteschi ricavati dalle preziose stoffe della regina di Svezia, di cui portano gli stemmi, ma anche calci di epigrafi di catacombe ebraiche. A guidare il visitatore nelle nuove e ampie cinque sale del Museo - seicento metri quadrati nei sotterranei della Sinagoga oggi inaugurati con il ministro per i beni culturali Rocco Buttiglione - pannelli didattici, in cui sono dettagliatamente spiegati in italiano, inglese ed ebraico, la storia degli ebrei a Roma, la relazione tra la comunità e la città, il significato di oggetti di vita quotidiana, delle loro feste, del loro cibo, «ecco perché è al tempo stesso un museo di arte e di storia, un museo incardinato alla città di Roma - spiega Claudio Strinati, sovrintendente al Polo museale di Roma - dato che la storia dell'ebraismo si è sviluppato insieme alla città stessa c'è corrispondenza tra quello che vediamo al suo interno e ciò che è all'esterno, per le strade, questo è un museo vivo, la cui storia appartiene a tutti». Un museo che presto potrebbe riavere «la biblioteca, fatta di antichi incunaboli e manoscritti, sottratta dai nazisti nel '43», sostiene Leone Paserman, presidente della comunità ebraica di Roma riferendosi al lavoro di ricerca che sta portando avanti una commissione interministeriale. E lancia anche un appello il presidente Paserman, «che le autorità competenti vogliano concedere in prestito a questo nuovo Museo quei manufatti o quelle lapidi ebraiche che altri musei possiedono ma che a volte tengono nei magazzini». L'obiettivo di chi ha disegnato e ripensato il Museo è stato quello di «spiegare con chiarezza tutto il percorso espositivo, perché le sale, gli argenti, le lampade a sette bracci, tutto diventi uno strumento di conoscenza del mondo ebraico - spiega la direttrice - ai visitatori non ebrei vogliamo vogliamo far comprendere l'importanza che la nostra comunità ha avuto nei secoli, agli studiosi fornire materiale di studio orginale, agli ebrei garantire uno specchio nel quale riconoscere il proprio passato, il proprio presente così da costruire un consapevole futuro». All'ingresso del Museo c'è la metzuza, il rotolo di pergamena che contiene i versi biblici, portato dal presidente israeliano Katsav la settimana scorsa, è stato appeso sullo stipite della porta di casa, sì, della casa.
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