Stampare il biglietto costa più dell'incasso museo diventa gratis Terry Marocco La Stampa, 20 novembre 2005
UN DECRETO ABOLISCE L'INGRESSO A PAGAMENTO IN TRE ISTITUTI CULTURALI
ROMA Una palazzina liberty rosa confetto, alle spalle di piazza del Popolo. Una grande gipsoteca, una caffetteria tra stucchi e foto in bianco e nero dei primi del secolo. Hendrik C. Andersen accanto allo scrittore Henry James o seduto a fianco del poeta indiano Tagore, tra vasi di iris ed affreschi di angeli nudi. Questa era la casa romana dello scultore norvegese, oggi perfettamente restaurata, e sede del Museo Andersen. Oasi di pace e luogo raffinato, ma troppo poco visitato per il Ministero delle attività culturali. Che, con un decreto pubblicato sull'ultima Gazzetta Ufficiale, elimina il biglietto d'ingresso per questo e per altri due piccoli musei statali. Biglietto che, dice il decreto, rappresenterebbe un onere troppo gravoso rispetto agli introiti. Non vale la pena. Gratis non per amore dell'arte, ma per risparmiare. «Nel '99, quando il museo fu inaugurato, si pagavano seimila lire, ma durò solo un anno», spiega il direttore dell'Andersen, Elena di Majo. «La questione non riguarda tanto i costi del personale, che comunque qui deve stare, quanto piuttosto un complesso problema di gestione amministrativa». Cinquemila visitatori all'anno, che variano a seconda delle mostre, una media di quindici al giorno. Affezionati, amanti del genere, un pubblico raffinato e colto che si rifa al mito dell'intellettuale straniero a Roma. Ma non solo, vengono qui anche i dipendenti dei vicini uffici a mangiare sulla fantastica terrazza, portando avanti senza saperlo quella che all'estero è la vera tendenza: vivere il museo, come un luogo pubblico dove incontrarsi, andare al bar, sfogliare un catalogo. Per mangiare nel ristorante della Tate Modem di Londra bisogna attendere pazientemente in coda. Qui un anziano barman in giacca dai bottoni d'oro, fa quello che può con pizzette e piadine. «L'ingresso gratuito», osserva Elena di Majo, «è una forma di incentivazione, la gente che arriva è sorpresa e felice. Anche se onestamente, un biglietto modesto, per esempio tre euro, molto meno di un cinema, lo pagherebbero tutti tranquillamente». Nel libro dei visitatori qualcuno si chiede: «Per far conoscere un posto così bello, perché non far pagare l'ingresso?». Nell'atrio c'è una distinta signora seduta dietro a un tavolo. È una custode. Che cosa cambierebbe se per quindici volte al giorno in media staccasse i biglietti e mettesse il ricavato in un cassetto? Lo spiegano alla Casa-Museo di Mario Praz, vicino a piazza Navona, un altro dei luoghi diventati gratuiti: «Noi siamo custodi, non possiamo toccare il denaro». Il museo Mario Praz, è uno splendido appartamento in stile impero, ultima residenza del celebre anglista, perfettamente conservata e di grande charme, visitata da circa sei persone al giorno. Qui il pagamento dei biglietti è solo sospeso causa «difficoltà organizzative di gestione». La questione pare psicanalitica: un custode può essere cassiere? Il terzo museo interessato dal provvedimento del Governo è la Raccolta di Giacomo Manzù ad Ardea, poco lontano da Roma, ma abbastanza per farci venire solo 3500 visitatori all'anno, dieci al giorno. Qui c'è la tomba dell'artista e un enorme giardino di piante rare, che sembra un orto botanico. La direttrice Marcella Cossu è diplomatica: «II biglietto gratuito in un luogo di non facilissima reperibilità è un modo per dare una marcia in più al museo». Ma quella marcia in più sembra giustificata da un groviglio burocratico, più che da una scelta culturale e politica.
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