Il giorno del giudizio Vittorio Sgarbi il Giornale 19/11/2005
Mi dispiace contraddire Sergio Romano che, a un lettore che lamenta il taglieggiamento dei biglietti d'ingresso ai musei pubblici (e alle mostre), risponde con il giusto argomento che in Italia «vi sono più spazi gratuiti di quanti ve ne siano in qualsiasi altro Paese europeo». È una giusta considerazione se, come osserva Romano, si pensa «alle chiese di Venezia, Firenze, Siena, Bologna, Napoli, Roma che è possibile visitare liberamente» e «ai capolavori che ciascuno di noi può ammirare per le vie e le piazze di una città». Ma i musei sono un'altra cosa. Non diversamente dalle biblioteche, sono i luoghi della formazione della sensibilità e del gusto. E dovrebbero essere spazi aperti, conosciuti per studio e per diletto, occasioni del desiderio. Non favorire la dimestichezza con le opere d'arte produce danni imprevedibili e incontrollabili. E mi resta inspiegabile perché io possa accedere gratuitamente a un libro di Machiavelli o di Foscolo in una biblioteca pubblica, e debba pagare per vedere Botticelli e Caravaggio in una pinacoteca nazionale. Ciò non accade in Inghilterra, alla National Gallery e al British Museum, dove l'accesso prevede un'offerta non obbligatoria. Per questo fatico a comprendere la quantificazione del valore commerciale di un momento di contemplazione della Cappella degli Scrovegni per la quale 11 euro a Romano «non sembrano davvero troppi». Qui non si discute il valore di Giotto, e quanto meriti; si discute se si debba pagare per vederlo. Per ciò che vale non sono troppi 11 euro neanche per leggere Dante. Ma troverei abbietto che per consultare la Divina Commedia in biblioteca mi chiedessero anche un solo euro. La questione di fondo è l'educazione degli italiani, alla letteratura come alla pittura; alla bellezza, in sostanza. Che induce a buone azioni. Non in senso etico ma nella consapevolezza del bene che, conosciuto, consentirebbe, per esempio a molti amministratori, di non spendere somme enormi di denaro per distruggere, in virtù della loro ignoranza, come è accaduto in Piazza Roma a Oristano. Se gli amministratori di quella città fossero entrati una volta sola, anche pagati, a riflettere sul sentimento dello spazio di Giotto, non avrebbero concepito quella porcheria. Ma non sono stati pagati per vedere Giotto, né hanno avuto l'opportunità di vederlo gratuitamente, neppure i sindaci di Piacenza, Acqui Terme, Sassari, Roma, Torino, Santa Teresa di Gallura. Bologna... Ecco perché non capisco la questione degli 11 euro: 11 euro si incassano, e 11 milioni si buttano. Preferirei dire: paghiamo i futuri stolti amministratori perché imparino Giotto, Piero della Francesca, Simone Martini, Raffaello, e intendano la ragione profonda per cui essi sono degni di ammirazione. La grammatica della bellezza è come quella della lingua; e Manzoni, Leopardi, Pascoli si leggono, gratuitamente, per consentire a un sindaco (non sempre) di scrivere una lettera corretta, in buon italiano. Se si è esigenti con la lingua perché non lo si deve essere con i luoghi violati per l'ignoranza della grammatica delle forme? |