Beni Culturali: Cambia il Codice Urbani Francesco Erbani 19/11/2005, La Repubblica
Roma Per i Beni culturali non vige più la norma del silenzio-assenso. Le Soprintendenze non saranno sottoposte al capestro dei 120 giorni per dichiarare che un bene ha valore storico-artistico, superati i quali si dà per acquisito che quel bene un valore non ce l'ha e che quindi può finire nel calderone di ciò che lo Stato può vendere. La norma (che secondo alcuni giuristi era solo transitoria ed era destinata comunque a cadere) non fa più parte del Codice dei Beni culturali. È stata eliminata, accogliendo le proteste di molti soprintendenti, preoccupati che i loro uffici (oberati di lavoro e sguarniti) non avessero il tempo per poter dichiarare entro quel termine. Lo ha deciso il ministero per i Beni Culturali, che ieri, per bocca del suo titolare, Rocco Buttiglione, ha illustrato le altre modifiche introdotte nel Codice entrato in vigore nel maggio dello scorso anno. Il Codice, partorito durante la gestione di Giuliano Urbani e che tante opposizioni sollevò fra le associazioni di tutela e anche dentro il ministero, ha subito alcuni aggiustamenti che soltanto conoscendo il testo definitivo potranno essere valutati appieno (il testo va ora alla Conferenza Stato-Regioni e poi alle Commissioni parlamentari). Non c'è comunque traccia del documento, di cui ha parlato su queste pagine Salvatore Settis, che avrebbe spinto verso una gestione dei Beni culturali sempre più ispirata a logiche imprenditoriali, logiche che avrebbero condizionato anche la tutela. Quel documento ha circolato in Consiglio dei ministri, per iniziativa, ha scritto Settis, del sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta. Buttiglione ha sostenuto che si trattava del semplice contributo di un giurista, ha difeso Letta e ha attaccato, senza mai nominarlo, Settis.
In ogni caso, ha aggiunto, la linea del ministero è quella condensata nelle modifiche approvate, modifiche che di quel documento non hanno tenuto conto. E ha indicato un limite invalicabile: l'intervento dei privati non può avere scopo di lucro.
Il Codice non cambia nelle sue parti sostanziali. E restano quindi intatte molte obiezioni avanzate dalle associazioni come Italia Nostra, Legambiente, Wwf e Comitato per la Bellezza. Secondo il ministero si è trattato «di aggiustamenti suggeriti dall'esperienza dei primi diciotto mesi di applicazione del Codice». Sulla tutela paesaggistica rimane molto forte l'opposizione delle associazioni. Il Codice prevedeva che alla stesura dei piani paesistici, di competenza delle Regioni, partecipasse anche la Soprintendenza (anche se non con un parere vincolante). Ma questa collaborazione non si è attuata. Quindi, stando almeno al comunicato diffuso dal ministero, «in caso di elaborazione unilaterale da parte della Regione, la Soprintendenza può esprimere un parere vincolante sul rilascio dell'autorizzazione paesaggistica». Come questo si realizzerà non è ancora chiaro. In materia di abusi edilizi, poi, il Codice fissava norme severe, ma queste venivano del tutto vanificate da altri provvedimenti del governo, come i condoni. E il nodo non sembra che venga sciolto dal nuovo testo. Sempre nel comunicato emesso dal ministero, si legge che viene mantenuto «in generale il divieto di sanatoria», ma si aggiunge che la disciplina «viene adeguata, recependo la possibilità di sanatoria limitata agli abusi cosiddetti minori già introdotta dalla legge 308/2004 sul condono paesaggistico».
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