Buttiglione: "Un progetto a scopo di lucro ma non mi farò scippare così" Alessandra Rota 17/11/2005 La Repubblica
Il ministro Buttigliene smentisce che il documento rappresenti la posizione del governo
ROMA — «Ci si è lanciati con furore contro un nemico che non esiste. Tutti sanno che sono contrario a qualunque progetto di radicale privatizzazione dei beni culturali e di un loro uso a scopi di lucro».
Il ministro Rocco Buttigliene smentisce che il documento citato ieri su Repubblica nell'articolo di Salvatore Settis sia la posizione del governo, «ma» sottolinea «soprattutto non è la mia posizione, anzi».
Allora è quella del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta che ha distribuito il documento ai ministri?
«Assolutamente no, ci ho parlato personalmente».
E di chi è? «Di un esimio giurista, di un rispettabilissimo funzionario dello Stato che, visto che siamo un paese democratico, ha espresso il suo parere. C'è libertà di parola e di espressione. O no?».
L'esimio giurista è Giuseppe Guarino?
«Non faccio nomi, anche se forse sono rimasto l'ultimo difensore della privacy».
Se non fosse uscito sul giornale però il documento sarebbe finito nell'ordine del giorno del Consiglio dei ministri.
«Nel Consiglio dei ministri si discuterà delle mie valutazioni sulla valorizzazione, utilizzazione e fruizione del patrimonio culturale italiano. Certo, se la maggioranza del Consiglio boccia la mia proposta... Non credo che ci saranno altre "voci", tanto meno questa».
Il documento che si occupa dell'articolo 115 è molto preciso nell'indicare i criteri di "sfruttabilità" di quelle che si vorrebbe diventassero aziende culturali e se la prende con il "partito dei puristi".
«è una proposta ben congegnata ma non rispecchia assolutamente il punto di vista del ministro. È solo un contributo per certi versi provocatorio».
Provocatorio per chi? «Non per me. Ho detto più volte che i privati possono entrare nella gestione dei Beni culturali con il sistema delle Fondazioni e, sottolineo, senza scopo di lucro. Questa è la strada che stiamo perseguendo».
Nel documento della discordia è citato il sistema inglese come esempio di "una politica generale della gestione": il British Museum gratuito ma Tate, Hampton Court, Victoria and Albert Museum a caro prezzo. Che ne pensa?
«Che in Italia non è possibile. Ma questa non è una novità per nessuno. Io spesso faccio riferimento al sistema americano. Qui da noi sarebbe inapplicabile. Negli Usa la pressione fiscale è molto più bassa, mentre le agevolazioni per chi si occupa economicamente di cultura sono molto alte. Non solo: i privati sono abituati a fare donazioni e i musei godono di un patrimonio personale. Il Paul Getty dispone di 9 miliardi di euro. È un modello che in Italia non tiene e, secondo me. non ci arriveremo mai». Possiamo stare tranquilli? «Per quello che riguarda il ministro sì».
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