Bulimia d'arte a Torino Elena Del Drago il manifesto, 15/11/2005
«La Sindrome di Pantagruel» è il filo conduttore della nuova Triennale torinese. A indicare quell'eccesso che segna la nostra realtà e che non risparmia il sistema dell'arte Una settimana di inaugurazioni, incontri, premiazioni ed eventi quella appena trascorsa, che confermano Torino capitale della contemporaneità artistica italiana grazie al lavoro sinergico di istituzioni pubbliche e private: una nuova Triennale che ha sostituito l'ormai incomprensibile Big-, un premio assegnato dal Castello di Rivoli a una giovane artista italiano, Lara Favaretto, che ha sospeso una locomotiva di treno a moltissimi metri di altezza e ha intitolato significativamente I poveri sono ricchi, un affollatissimo opening collettivo delle gallerie cittadine: e infine Artissima, fiera che conferma la sua attenzione alle novità, siano esse artisti o galleristi. Una volontà di apertura ribadita anche dalla politica dei prezzi, generalmente abbordabili, che intende avvicinare al collezionismo anche il pubblico più insospettabile: a partire da 500 euro si possono acquistare lavori di emergenti o multipli di artisti più conosciuti. A favorire un ulteriore abbassamento dei prezzi è anche la diffusione di una tecnica per lunghi anni dimenticata e ora tornata prepotentemente alla ribalta: il disegno. Negli stand delle gallerie più attente imperano le opere su carta, a matita, a pennarello, a carboncino: un'intera serie dell'inglese Charles Avery, per esempio, è esposta da Sonia Rosso, mentre le italiane Margherita Morgantin, Sabrina Mezzaqui e Letizia Cariello sono riunite dalla Galleria Continua di San Gimignano da poco sbarcata a Pechino. Anche da Lorcan 0' Neill molti i disegni: a matita quelli di Kiki Smith, a china quelli di Manfredi Beninati, mentre per vedere la serie su carta di Marietica Potrc bisognava passare da Nordenhake, galleria svedese con sede a Berlino. Resiste bene anche la pittura, con una grande prevalenza dei non colori, bianco, nero, grigi, oppure pastelli che sappiano rassicurare senza decorare. Molte le fotografie e pochi i video, tutti di grande importanza, come quello di Pipilotti Rist esposto dalla galleria Hauser & Wirth di Zurigo e comprato dal Castello di Rivoli che, insieme alle altre istituzioni del territorio piemontese, ha fatto acquisti per un totale di un 1.200.000 euro. Shopping museale a parte, gli affari nel complesso sono andati molto bene, nonostante la crisi o grazie a essa: la maggioranza dei galleristi non nascondeva una certa soddisfazione. Anche quest'anno molto interessanti le sezioni ad alto tasso di innovazione come Present Future, con i lavori di dieci artisti tra i quali Mike Nelson, Eva Marisaldi, Jeremy Deller - che sullo sfondo di una parete nera con la scritta I love Melancholy ha esposto una ragazza post punk della comunità torinese -, ma soprattutto il tedesco Michael Beutler della galleria Franco Soffiantino che, con la sua costruzione abitativa in legno, è risultato a sorpresa il vincitore dell'ambito premio Illy: 10.000 dollari e la possibilità di progettare l'ennesima tazzina. Anche le 21 gallerie con meno di cinque anni di attività riunite sotto il titolo New Entries hanno lavorato bene portando in fiera anche artisti non molto conosciuti. In particolare la galleria romana Extraspazio dove trovano ospitalità lavori di artisti lontani dal circuito mercantile europeo meritevoli di attenzione, come Farad Moshiri e Toma Mutema Luntumbue. Tra gli estremi lontani rappresentati da Doris Salcedo e Takashi Murakami, i due numi tutelari di TI - la Sindrome di Pantagruel, prima triennale torinese -, si svolge invece il cuore della kermesse rappresentata dal lavoro dei 75 giovani artisti provenienti da tutto il mondo, selezionati dal tandem curatoriale formato da Francesco Bonami e Carolyn Christov Bagarkiev. Sono due derive artistiche completamente differenti, infatti, quella rappresentate dall'artista colombiana, che mette tragicamente in scena un quotidiano e istituzionale abuso di potere e quella invece patinata, allegra e pop del giapponese, i due punti cardinali ai quali fare riferimento per attraversare questa produzione onirica ed eterogenea esposta in ben sette sedi differenti. Altro indizio importante, tra la tragicità a tratti macabra di alcune proposte e la disinvolta ironia della stragrande maggioranza, è il titolo di questa rassegna: La Sindrome di Pantagruel. I due curatori, infatti, si sono ispirati alla sovrabbondante e onnivora creatura di Rabelais per indicare alcuni tratti della nostra realtà che senz'altro hanno ispirato molti dei lavori presenti. Pantagruel figlio di Gargantua è, infatti, un essere di proporzioni gigantesche, divoratore appassionato di cibo e di vino che gli procurano una forza smisurata ma anche alcuni disagi. Stessi sintomi che, secondo i curatori, affliggono la nostra epoca di spostamenti veloci e necessari, di estrema abbondanza e altrettanta povertà, di forti emozioni e dilanianti contrasti. Un eccesso che secondo la medesima tesi affligge anche il sistema dell'arte, ormai degenerato in un vortice di biennali et similia sparse per il pianeta e che, però, non ha risparmiato neppure questa TI: a essere occupati gran parte dei tre musei contemporanei della città - II Castello di Rivoli, la Galleria d'Arte Moderna, la Fondazione Sandretto re Rebaudengo, ma anche la Fondazione Merz, il PalaFuksas, la Casa del Conte Verde e la Chiesa di Santa Croce - da opere debordanti, complesse e patinate, raramente gratuite, che come in caleidoscopio riflettono angosce e piaceri del nostro tempo. C'è il russo Ter-Ogonyan, per esempio, che ci accoglie al Castello di Rivoli con un pacco luminoso dal sinistro suono intermittente: non è ancora pronto a esplodere, ma ci lascia con una vaga sensazione di inquietudine, come l'epilogo tragico e surreale raccontato dalia tailandese Azaja Rasdjarmreamsook, che nel video The Class cammina spiegando a un gruppo di cadaveri allineati. Intrisi di cultura dark anche i disegni e la scultura del messicano Daniel Guzman, con uno scheletro che inghiotte una casa a simboleggiare come possa essere fagocitante la cultura. Mentre A Morir (Fino alla morte) è il titolo di uno dei lavori più emozionanti e riusciti della triennale firmato dall'argentino Miguel Angel Rios: su un tavolo entrano in scena una dopo l'altra delle trottole nere, che percorrono ognuna una propria traiettoria, ma secondo le leggi del caso si incontrano e si scontrano in una danza che è insieme un vero piacere estetico e una chiara metafora dell'assoluta arbitrarietà che domina le nostre esistenze. Quindi il messicano Carlos Amorales, che rielabora nell'oscurità immagini di recenti tragedie collettive eliminando il dato reale e i particolari di cronaca in un magma che sembra piuttosto appartenere a un ricordo lontano o al nostro inconscio, oppure l'indiana Malani che in un'altra videoinstallazione di grande eleganza formale (due dei cinque video si riflettono a terra sul sale) scompone immagini patrie dove lo scontro tra musulmani e indù sembra avere come terreno privilegiato il corpo femminile. Di tutt'altro sapore lavori come quello del venezuelano Javier Tellez: in una vera tenda da circo con tanto di strato sabbioso il suo video racconta il lancio di un uomo cannone sul limitare del confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Oppure quella del sudafricano Ed Young che espone Bruce Gordon, un barista di Cape Town come opera da vendere all'asta, il quale, aspettando la sua sorte, se ne va in giro per le mostre e le strade della città. Opere queste, intrise da una tipica melanconia circense, modulate su un gusto carnevalesco come anche l'installazione delle tre designers milanesi riunite sotto l'etichetta CIBOH che specializzate appunto sul mangiare, dal packaging degli alimenti alla riflessioni sugli stili e le abitudini alimentari, al PalaFuksas offrono allo spettatore uno spettacolo di lampadine colorate con lancio di pasticcini annesso. Molti anche i lavori strutturati secondo un'estetica del recupero, letterale o figurato: se il duo piemontese formato da Matteo Patrucco e Walter Visentin, in arte Gazeabout, va ammassando in forma di scultura ambientale armadi, specchiere, sedie e ante rifacendosi espressamente all'opera di Schwitters, l'americano David Ra-tcliff immagazzina immagini della nostra più basica cultura commerciale, giornali porno e di vendita per corrispondenza compresi, e li restituisce, serigrafandoli, in uno stile psichedelico.
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