In una trentina di palazzi il tesoro per il rilancio PAOLO CIRINO POMICINO* Il Sole 24 Ore 02-11-2005
La crescita economica sembra essere la grande assente dal dibattito politico.
Eppure, negli ultimi dieci anni l'economia italiana è sempre cresciuta meno della media della zona dell'euro (-0,5/0,7%). Le sole eccezioni furono nel '95 (effetto legge Tremonti) e nel 2001 (politica di bilancio espansivo del governo Amato).
Nello stesso periodo è crollato l'incremento annuo della produttività del lavoro ridotto, oggi, ad uno 0,4-0,5 annuo a fronte di livelli doppi o tripli degli altri paesi europei.
La conseguenza è stata che in dieci anni abbiamo perso quasi la metà delle nostre quote di commercio internazionale passando dal 4,6 al 2,7. Dinanzi a questo disastroso scenario silenzio assoluto.
La stessa finanziaria ruota intorno a due cifre tra loro incompatibili, il 3,8% del rapporto deficit-Pil e 1' 1,5% di crescita nell'economia. L'indebitamento annuo viaggia verso il 5% e solo con i tradizionali artifici contabili di fine anno si fermerà intorno al 4,5 per cento. Riportarlo al 3,8% nel 2006 richiede una politica di bilancio restrittiva incompatibile con la crescita dell'1,5% partendo dallo 0,3% di quest'anno. Non a caso il governatore della Banca d'Italia ha parlato di una crescita nel 2006 intorno all' 1 per cento. Ma c'è di più. Se pure crescessimo nel 2006 dell' 1,5% non potremmo innescare quel necessario circuito virtuoso sviluppo-risanamento assente da troppo tempo. E qui torniamo da dove siamo partiti. In questi anni entrambi gli schieramenti hanno avuto un approccio ragionieristico ai problemi di finanza pubblica preoccupandosi più di tappare buchi con tagli, veri o presunti, ad una spesa incomprimibile senza che fosse cambiata la legislazione sottostante e con molte "una tantum " (tassa sull'Europa, prelievo sul Tfr, condoni) piuttosto che finanziare lo sviluppo. La conclusione è stata crescita bassa e disavanzo crescente una volta terminati gli effetti benefici del calo internazionale dei tassi d'interesse. Senza uno sviluppo sostenuto (2-2.5% annuo) non potrà esserci, dunque, alcun risanamento. Ma è possibile finanziare lo sviluppo con quel debito che ci ritroviamo e che dopo 14 anni di manovre correttive è di 7 punti più alto di quanto era nel 1991? E possibile recuperando con strumenti appropriati massa imponibile e seguendo le più banali strategie delle grandi imprese. Queste ultime, quando vogliono finanziare innovazione e sviluppo senza indebitarsi ulteriormente, fanno uno spin-off immobiliare liberando così ricchezza finanziaria che, allocata in modo produttivo, ha un ritorno superiore alla rivalutazione patrimoniale. Lo Stato italiano è patrimonialmente forte ed è economicamente debole. Liberare ricchezza finanziaria per sostenere recupero di competitività con ricerca, innovazione sarebbe, dunque, un dovere e un gioco da bambini. Vendere 5 milioni di mq di immobili (30 palazzi da 150-200mila mq utilizzati dalla pubblica amministrazione) significa recuperare risorse straordinarie per 15 miliardi di euro che andrebbero tutti allocati nell'economia reale nei prossimi due anni. Attenti però. Le risorse dovrebbero servire per: a) diminuire di almeno 3 punti i contributi sociali limitatamente ai settori manifatturieri e ai servizi collegati riducendo così il costo del lavoro del 2 per cento. Togliere, infatti, un punto di contributi sociali per tutti i dipendenti, anche quelli dei barbieri, dei commercianti, degli studi professionali e di tutti gli altri settori non esposti alla concorrenza internazionale non ha alcun impatto sulla competitività del nostro sistema produttivo; b) introdurre un'esenzione quinquennale fiscale e contributiva per le nuove iniziative realizzate nel mezzogiorno nei prossimi due anni; c) finanziare con certezza pluriennale l'agenda di Lisbona che contiene al suo interno tutti i settori a forte innovazione tecnologica; d) attivare una domanda pubblica semplice e diffusa attraverso i Comuni capoluoghi di provincia con massicci interventi di risanamento urbano; e) attivare un congruo fondo per la ricerca di base che consente di stringere sempre di più un rapporto tra Università e industria. Quattro azioni che servirebbero ad uno start-up della nostra economia con un mix di politiche della domanda e dell'offerta recuperando così competitività di prezzo nell'immediato e di prodotto e di processo nel medio periodo oltre che domanda pubblica e privata.
Le risorse necessarie sono in parte imprigionate nel patrimonio immobiliare dello Stato e in parte potrebbero derivare da un più conveniente concordato fiscale preventivo pluriennale, ad oggi unico strumento per far emergere, con un sistema pattizio tra fisco e contribuente, masse imponibili. Forse siamo illusi, forse siamo superati ma ci piacerebbe vedere nei due schieramenti qualche idea diversa e più efficace delle nostre per rilanciare l'economia. Faremmo subito a pezzi le nostre proposte e aderiremmo alle altre convinti come siamo che se non si riprende subito la strada dello sviluppo questo Paese è perduto. *Europarlamentare Dc-Ppe
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