II paesaggio tradito Leonardo Servadio Avvenire, 04/11/2005
Una serie di iniziative a cura del Centro San Fedele rilancia la questione del degrado
Le notizie hanno una loro velocità: scorrono sui fogli di giornale e nelle immagini televisive con ritmi orari o giornalieri. Quanto accaduto ieri spesso è già subito dimenticato. Anche a paesaggio si muove, ma con tempi e ritmi diversi. Accelerati beninteso, ma non tanto quanto l'incalzare delle "novità". Forse è per questo che l'opinione pubblica stenta a farsene carico in modo continuativo. Un ciclo di conferenze e una mostra fotografica organizzata dal centro culturale San Fedele di Milano [da domani al 26 novembre i dibattiti, dal 26 novembre al febbraio 2006 la mostra, per informazioni www.sanfedele.net), offrono un'occasione per ripensare all'argomento. Gli incontri affronteranno i «Paesaggi italiani» da diversi punti di vista e la mostra illustrerà il «Paesaggio tradito» dagli interventi dissennati degli ultimi cinquantanni di urbanizzazione spesso selvaggia. Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, che interverrà sul tema «Patrimonio culturale, identità e memoria» il prossimo 19 novembre, dice: «L'opinione pubblica recepisce i temi su cui insistono i partiti politici, e questi non considerano il paesaggio come una priorità. Di qui la necessità che questo, sia posto al centro di una battaglia di carattere civile a tutto campo, al di fuori degli interessi di parte». Critico attento e appassionato difensore del patrimonio culturale italiano, egli è stato tra coloro che hanno contribuito a plasmare il Codice dei Beni Culturali varato dal precedente ministro Giuliano Urbani.
È cambiato qualcosa per il paesaggio da quando, poco più di un anno or sono, questa legge è entrata in vigore? «Il Codice Urbani ha il grande merito di prendere in considerazióne il paesaggio, di definirlo parte integrante dei beni culturali e di proteggerlo. Il problema è che, passati solo quattro mesi dalla sua promulgazione, il governo ha approvato una legge sull'ambiente che depenalizza gli illeciti contro il paesaggio. In quattro mesi quindi si è affermata la tutela e la si è negata». «Ho vissuto e insegnato a lungo negli Stati Uniti - specifica Settis -la difesa dei beni culturali lì segue logiche differenti da quelle italiane: privatistiche, non pubbliche. Ma con un notevole grado di efficacia. Basti pensare che non solo le grandi società, ma anche i singoli cittadini possono liberamente sovvenzionare i musei, detraendo iloro versamenti dal carico fiscale. Anche in Italia ci sarebbero leggi che vanno nella stessa direzione. Ma di fatto sono disattese, perché troppo macchinose. Lì è possibile detrarre dalle tasse le donazioni ai musei, mentre l'evasione fiscale è perseguita con efficacia e con costanza. Qui vige invece l'evasione fiscale diffusa mentre paesaggio e beni culturali sono spesso abbandonati. Secondo un calcolo del ministero dell'Economia annualmente l'evasione fiscale ammonterebbe a circa 110 miliardi di euro, mentre secondo stime della Guardia di Finanza raggiungerebbe i 410 miliardi. Cifre enormi che, se intercettate dal fisco, consentirebbero non solo di svolgere una politica di efficace promozione del patrimonio culturale, ma anche di risolvere i problemi del deficit di bilancio». Salvaguardare quella che è da molti considerata la principale ricchezza italiana, il suo patrimonio culturale, è di rilevante importanza sia per l'identità del paese, sia per la sua economia: il turismo culturale è in continua crescita, mentre le altre forme di turismo, quelle che più immediatamente si rivolgono al paesaggio propriamente detto, sono in calo. E' anche questo un effetto del tradimento del paesaggio italiano. «E il tradimento continua - sostiene Massimo Venturi Ferriolo, ordinario di Estetica al Politecnico di Milano - basti pensare all'impatto che potrà avere la costruzione di un'opera quale il ponte sullo Stretto di Messina. Il paesaggio, naturalmente, è frutto dell'azione dell'uomo nella storia. È vivo e cambia in continuazione. Ma gli interventi vanno calibrati e con cautela, valutando gli effetti che hanno anche sulla cultura e sulle persone. E le popolazioni del luogo vanno coinvolte. Lo richiede anche la Convenzione europea sul paesaggio. Qui in Italia si parla spesso di "recupero", bisognerebbe invece passare al concetto di "governo del paesaggio e delle sue modifiche. È un problema etico ed estetico assieme. In questi giorni sta facendo molto rumore il dibattito riguardo al passaggio della nuova linea ferroviaria di alta velocità in Val di Susa. Tuttavia quel genere di infrastruitture può avere un impatto positivo. Per il recupero dell'identità locale. Per esempio: lungo l'autostrada che va dalla Francia alla Spagna, soprattutto nella zona di Nimes, sono state realizzate piazzole di sosta che sono veri e propri parchi, che consentono sia di apprezzare il paesaggio, sia di mettere in luce le emergenze archeologiche romane tipiche della zona.» Così il paesaggio può essere goduto fisicamente, esperito personalmente. Ma può essere anche conosciuto attraverso i mezzi di comunicazione di massa: in fondo questi possono invogliare il pubblico ad avvicinarvisi. Un argomento al quale si interessa Enrico Menduni, massmediologo dell'Università di Roma 3, che interviene proprio domani inaugurando il ciclo di incontri. «Però c'è un deciso spartiacque - spiega - collocabile attorno al 1976. L'epoca in cui arrivò la televisione commerciale. Prima di quella data, e della concorrenza all'inseguimento dell'audience che ne derivò, l'impostazione didascalica della televisione portava a mostrare paesaggi allo scopo di far conoscere cose nuove, ignote. Dopo quella data, è subentrata la spettacolarizzazione della quotidianità. Questo ha portato sulle scene il paesaggio di tutti i giorni - fisico, urbano, umano. È un approccio diverso, dal quale non si impara nulla. Il paesaggio è rientrato tra gli oggetti di intrattenimento».
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