SCOPERTE: Un affresco leonardesco alle Grazie. Ma per Marani non è Leonardo LUIGI BOLOGNINI 25/10/2005 La Repubblica, Milano
L'opinione del professor Pietro C. Marani che alle Grazie ha diretto i restauri del Cenacolo: "Un frammento pieno di misteri ricorda la Vergine delle Rocce"
PIETRO C. Marani, direttore dei restauri del Cenacolo, il frammento ritrovato può essere attribuito a Leonardo? «Tenderei a escluderlo. Ma per un motivo molto semplice: si tratta, appunto di un frammento, poco più di una macchia di colore sul muro. E per lo stesso motivo, mi pare difficile che si possa dire che sia di scuola leonardesca. Certo, qualche somiglianza con lo stile della Vergine delle rocce si nota». Ma il fatto che si ritrovino ancora cose dell'epoca può significare che da qualche parte ci siano opere leonardesche da scoprire? «La speranza non è mai morta. Facendo restauri e studiando fondi dei disegni e collezioni, qualche scoperta si può ancora fare. Non escludo che ci siano sue opere coperte daintonaco e daun armadio, come in questo caso». Leonardo visse a Milano dal 1482 al 1499 e dal 1507 al 1513, ventitré anninei quali disseminò la città di opere. Cosa rimane? «A parte il Cenacolo, la cosa meno conosciuta è la sala delle Asse nel Castello Sforzesco, dove ci sono i resti di una decorazione. E soprattutto il Musico all'Ambrosiana, l'unico dipinto maschile su tavola che abbia mai fatto. E poi i manoscritti: il Codice Trivulziano e il Codice Atlantico. Infine, almeno tre disegni: due a Brera e uno al Castello». Mentre è leggenda metropolitana quella dei Navigli. «Certo: i Navigli erano già fatti quando lui arrivò. Lui potrebbe aver avuto una piccola parte nel concorso di idee per la Martesana. E anche il canale di Paderno fu fatto diversamente da come lui suggerì. Il luogo comune nasce dall'esistenza ili suoi disegni per le chiuse del Naviglio Grande, ma lui ne studiò solo la portata per poter far pagare l'acqua per l'irrigazione». Che rapporti c'erano tra Milano e Leonardo? «Quelli che hanno lasciato qualche ricordo di lui sono gli umanisti, gli storici, i poeti di corte. Lo paragonavano a Fidia, Scopa, Prassitele, Apelle. I milanesi riconobbero da subito il suo valore». E lo riconoscono tuttora. Forse anche grazie al Codice da Vinci. «Vero. L'interesse dei milanesi adesso è fortissimo, manon è mai morto. È uno dei pochi artisti che gode di fama ininterrotta da mezzo millennio. Molto è merito del mito nato in epoca romantica, del genio a tutto tondo, precursore di qualunque cosa, che ha inventato il carro armato, il paracadute, l'elicottero. Un mito che non corrisponde completamente alla realtà». Ovvero? «Alcuni luoghi comuni sono stati smontati dagli ultimi studi. Ad esempio, non sapeva fare il calcolo frazionario né le divisioni, non conosceva né il latino né il greco. E molte delle sue invenzioni esistevano già all'epoca. Solo che di lui ci sono arrivate 7mila pagine, di altri matematici e scienziati dell'epoca, nulla. Adesso abbiamo aperto una mostra all'Archivio di Firenze sulla vera immagine di Leonardo». Anche se resta un caposcuola. «Certo. Però di una scuola particolare. I suoi discepoli non facevano parte di un'accademia ma erano garzoni di bottega e artisti che lo avevano come punto di riferimento ma che operavano in modo autonomo. Penso a Marco d'Oggiono e a Boltraffio, che Vasari definisce il suo migliore allievo».
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