I tesori da salvare. Palazzo Barberini e dintorni Valerio Magrelli Corriere della Sera, 25/10/2005
All'alba dell'anno Mille, il monaco Rodolfo il Glabro descrisse una nuova fioritura della fede cristiana in Europa: «Pareva che la terra, scrollandosi e liberandosi della vecchiaia, si rivestisse di un candido manto di chiese». Qualcosa di analogo, ha commentato maliziosamente Jean Clair, si è svolto alla fine dello stesso millennio, quando il manto dei musei è giunto a ricoprire le terre d'Occidente; basti pensare che negli anni Settanta si è costruito in media un nuovo museo a settimana. Mentre le vecchie istituzioni si ingrandivano, ogni città ha preteso di possederne uno, nella stessa maniera in cui, all'inizio dell'XI secolo, ogni centro urbano voleva avere il proprio tempio. Così, per il pellegrino moderno, il museo di Bilbao ha sostituito la cattedrale di San Giacomo di Compostela. Ormai, ha concluso Clair, si sfila davanti ai quadri con la stessa devozione con cui si venerava il corpo di San Filiberto. L'osservazione del critico francese apparve tempo fa nel saggio «Critica alla modenità», ma torna a imporsi ora pensando a palazzo Barberini. In questo splendido edificio, infatti, la Galleria Nazionale d'Arte Antica è costretta a coabitare con il Circolo Ufficiali delle Forze Armate, che affitta regolarmente le sue sale per pranzi di nozze. Dal contrasto che oppone il ministero dei Beni culturali a quello della Difesa, l’immagine della nostra città esce avvilita, avvinta dal lezzo dei fritti come dal caos della musica disco. È questo il modo di guardare un Caravaggio? Proviamo ad allargare il discorso. Oggi, secondo Clair, il pubblico di massa cerca nell'arte un supplemento non strettamente artistico; una nuova forma di identità sociale, alternativa al consumismo dell'esperienza televisiva. Ciò spiegherebbe un interesse tanto travolgente verso ogni forma di offerta culturale, a cominciare da quella di gallerie e pinacoteche. Ebbene, caso unico al mondo, a tutto ciò Roma sembra rispondere imboccando la strada opposta, ossia volgendo le spalle a una richiesta tanto socialmente sentita quanto economicamente proficua. Mentre le altre metropoli cercano di creare un nuovo patrimonio museale, da noi al contrario (stando a palazzo Barberini) si deprezza quello esistente. Ma non è tutto. Un controsenso del genere si verifica proprio nel momento in cui la collettività viene scossa dal problema, ben più doloroso e urgente, degli sfratti. Come si può allontanare un individuo da una povera casa, e rifiutarsi di spostare un'associazione, da un palazzo prestigioso? Ce n'è abbastanza per sciogliere una controversia durata mezzo secolo di troppo.
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