PONTE DI MESSINA: Un ponte che non fa bene all'economia SALVATORE BUTERA 14/10/2005 La Repubblica, Palermo
La vicenda del ponte sullo Stretto di Messina esce in questi giorni dal dibattito culturale ed economico per entrare nel vivo. È stato detto mercoledì dai responsabili della società Stretto di Messina ma anche da Andrea Monorchio, amministratore delegato di Infrastrutture Spa, persona peraltro altamente stimabile, che d'ora in avanti (dopo la scelta quale generai contractor di Impregilo, al prezzo di 3,8 miliardi di euro) non sarà più possibile tornare indietro ma sarà necessario, nell'ipotesi che il ponte non venga più costruito, pagare delle pesantissime penali alle società che hanno vinto la gara. Penali che avranno grosso modo lo stesso prezzo della costruzione del ponte. Circostanza che rende quasi impossibile tornare sui passi già compiuti. Passi, bisogna pur dire, abbastanza imprudenti. Perché chi li ha compiuti non ha tenuto conto di alcuni dati di fatto che da tempo, nel lunghissimo dibattito sul tema del ponte, hanno contrassegnato le ragioni del pro ma soprattutto quelle del contro. In primo luogo il ponte dovrebbe fondare le proprie prospettive economiche sulla presunzione di una crescente domanda di trasporto di passeggeri e merci via terra da e per la Sicilia. Esaminando la situazione della Sicilia e della sua economia, anche con uno sguardo al futuro, non pare che si sia in presenza di questa crescente domanda su cui si fonda il ponte. Anzi pare esattamente l'opposto. Si pensi alle autostrade del mare, ma soprattutto all'enorme incremento del trasporto aereo, sia per i passeggeri sia per le merci. Ora in un mondo in cui con un euro si raggiunge dalla Sicilia l'In-ghilterra, con le compagnie low cost, sembra altamente improbabile che schiere di passeggeri traghettino lo Stretto attraverso il ponte se non al più in un primo momento di curiosità. E chiaro che per andare a regime il ponte ha bisogno di un forte afflusso di passeggeri che facciano raggiungere il punto di pareggio fra costi e ricavi. Ci awiamo verso un'ennesima cattedrale nel deserto, anche perché qui di deserto veramente si tratta. Se noi consideriamo l'habitat intorno al ponte, sia sulla sponda calabrese sia su quella siciliana, ci rendiamo conto che il ponte viene a situarsi in un terreno che più povero non potrebbe essere; non solo, ma in un territorio che dai cento piccoli mestieri comunque collegati al traghettamento trae un certo sollievo. Si tratterebbe di perdere immediatamente oltre un migliaio di posti di lavoro. Vero è d'altro canto con i lavori del ponte si occuperebbero migliaia di operai, che però non sono stabili. Finiti i lavori, così come avviene nell'edilizia, si tornerebbe alla disoccupazione e quindi le prospettive sono tutt'altro che rosee. La lezione che viene dalle ifrastrutture della Sicilia è proprio questa:le infrastrutture siciliane (che poi sono molto più abbondanti di quanto non si dica) sono state mal calcolate e malrealizzate.Sipensiai35 anni che ci sono voluti per completare la Palermo-Messina, che doveva essere la prima autostrada siciliana. Invece si preferì la Palermo-Catania fatta malissimo e che ha provocato vittime fin dai primi anni di funzionamento. Autostrade semideserte, gratuite ma non certo ottimali. A questo si aggiunge la situazione delle Ferrovie dello Stato. Sappiamo tutti di che qualità sono i nostri treni e i ritardi che accumulano. Un altro argomento pesante è quello chele sponde di Scilla e Cariddi, tanto celebrate in molte pagine letterarie, sono uno dei luoghi più belli della terra: basta gettare uno sguardo fra Bagnara Calabra e Scilla, alle sponde della Calabria per ammirare stupefatti la bellezza di quei luoghi. Il pensare che quel paesaggio mitico debba essere in qualche modo interrotto e frantumato dal ponte è unacosache (aldilà diposizioni ambientaliste) fa male.
Il ponte fu perfino profetizzato da Giuseppe Antonio Borgese quando nel '33, scrivendo la famosa prefazione alla Guida del Touring se ne uscì conia ormai famosa espressione un'isola non abbastanza isola, aggiungendo subito dopo, nell'incipit di quel famoso e bellissimo scritto: effettivamente meno di 4 chilometri separano la sponda calabrese da quella siciliana talché si potrebbe ipotizzare che un ponte le possa unire. L'idea del ponte dunque c'era, ma era un'idea del tutto letteraria che Borgese espone al negativo e che gli serve per far capire la condizione di isolamento della Sicilia. La pericolosità del passo compiuto ieri va sottolineata in tutta la sua gravita. Sulla Sicilia passano degli schiacciasassi senza che l'opinione pubblica prenda posizione o si assuma le sue responsabilità. Personalmente sono contrario al ponte fin dall'epoca del governo Mattarella, allorquando vi fu in Italia (1978), da parte della Confìndustria, della società Ponte di Messina, dell'Accademia dei Lincei (che promosse un convegno) una vera e propria offensiva mediatica. Allora si era in pieno meridionalismo e si disse che il ponte sarebbe servito a coprire le più urgenti richieste della Sicilia che invece era (ed è) in condizioni di divario pesantissime. Oggi il meridionalismo non e' è più, la questione meridionale è morta e sepolta e il ponte assume in questo deserto una posizione e una valenza addirittura maggiori ma che ancor di più fanno rilevare quanto esso sia lontano dalle esigenze vere e primarie della Sicilia e di tutto il Mezzogiorno.
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