Nessun Ponte sullo Stretto solo soldi CESARE DE SETA La Repubblica, Napoli, 17/10/2005
II Ponte di Messina è stato varato: e poiché è opera presentata come chiave di volta di una politica a favore del Mezzogiorno, merita considerazione. Se ne parla da trent'anni e più: lo Stato ha investito oltre centocin-quanta miliardi di vecchie lire in analisi di ogni tipo la cui probità non intendo neppure sfiorare, anche se i nodi che questa monumentale impresa d'ingegneria porta con sé non sembrano del tutto risolti. Lo Stretto di Messina è tra le aree sismiche a più alto rischio del Mediterraneo, come una tragica e secolare sequela di terremoti inequivocabilmente dimostra. Per non passare per un arcade nulla dirò dell'impatto ambientale e paesistico. Negli ultimi anni si è sciolta come neve al sole la favola di un finanziamento tutto coperto da una grande holding giapponese che-forte di grandi esperienze nel settore-si sarebbe accollata tutti gli oneri e i rischidell'impresa. Il che vuoi dire che ci si trova di fronte a un investimento enorme, che inevitabilmente esclude che possano essere affrontati altri impegni non meno trascurabili o forse non affatto dilazionabili. Mi riferisco -per fare degli esempi strettamente legati alla mobilità-all'ammodernamento della rete ferroviaria che da Napoli a Potenza a Bari, da Palermo a Catania, è in uno stato comatoso indegno di un paese europeo; mi riferisco ancora alla esangue e dissestata rete marittima per il trasporto di merci e passeggeri nel bacino meridionale del Mediterraneo. Mi fermo qui, che ben altre e ben numerose sarebbero le priorità da anteporre a un'opera che -una volta risolti tutti i dubbi tecnico-scientifici - dovrebbe concorrere a lenire il drammatico problema dell'occupazione nel Sud d'Italia. È evidente che un'impresa infrastrutturale come quella del Ponte sullo Stretto si configura come un'opera ad alto investimento per addetto; incomparabilmente più alto di una politica ragionata per potenziare il trasporto ferroviario e il cabotaggio, ammodernare la rete autostradale e risanare le aree urbane che sono nello stato in cui sono Napoli, Reggio Calabria, Messina, Catania e Palermo. Il governo intende ignorare questi dati di fatto e pertanto la questione prima ancora che tecnica è eminentemente politica: investe cioè la responsabilità del governo che ha sempre condotto una serrata critica alla politica che è passata alla storia come quella delle "cattedrali nel deserto". Chimica, petrolchimica, siderurgia dove si sono scialate risorse immense con esiti miserevoli per lo sviluppo del Mezzogiorno. Tuttavia sarebbe ingenuo non vedere che i palazzi romani e no, della politica, dell'economia pubblica e privata, hanno l'acquolina in bocca. Poiché al centro della questione è il pretesto Mezzogiorno, il suo sviluppo, il problema sempre più drammatico dell'occupazione. È persino ovvio pensare che il varo del Ponte sacrifica esigenze primarie al "vello d'oro". Chi ha vinto a mani basse è la ditta Impregilo -l'altro e unico contendente si è chiaramente defilato - che avrà una marea di soldi per la progettazione, poi si vedrà. Faccio, arrischiando, una previsione: il Ponte non si costruirà, ma attorno all'impresa si muoverà un mare di danari che verranno spesi o meglio scialati a danno del Mezzogiorno.
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