Buttiglione minaccia «Più fondi o vado via» [a.ba.] LA STAMPA 20/10/2005
ROMA «The Windows is there and thè wear too». All'ora di cena Rocco Buttiglione è in vena di battute. I tecnici del suo dicastero gli hanno appena spiegato che gli effetti della manovra correttiva non saranno drammatici. Ma non per questo la minaccia della mattina resta meno valida. Da Francoforte, dove era volato per inaugurare il padiglione italiano della Fiera del Libro, il ministro cattolico aveva lanciato uno dei suoi aut aut corredato di rima. «I tagli devono rientrare o il ministro dovrà cambiare». Buttiglione vuole assolutamente recuperare parte dei tagli (quelli pesanti) che Tremonti gli ha riservato per il 2006. «Posso dirla papale papale? Voglio vedere rientrare 300 milioni sui tagli previsti». Per cosa? «Archivi e biblioteche, musei, Fondo unico per lo spettacolo. In una parola tutto». Quella di Buttiglione non sembra una minaccia incombente: «L'unica cosa che mi potrebbe indurre a non rassegnare le dimissioni è il modo volgare in cui alcuni hanno protestato-per i tagli». Il ministro filosofo non la cita, ma lui pensa all'intellighenzia scesa in piazza in questi giorni. «Tende a dare l'impressione di appartenere a una sola parte politica, e quindi non si capisce perché dovrebbe essere finanziata anche dai contribuenti di altre idee». Ma quelle proteste hanno scalfito comunque le certezze di un uomo che con quel mondo non ha mai avuto granché a che fare. Scioperi, sit-in, sale aperte, teatri chiusi. I nemici di un tempo si potrebbero trasformare in insospettabili alleati. «Invece di protestare con chi protesta, Buttiglione combatta contro Tremonti», gli consigliava ieri l'assessore laziale alla Cultura, la diesse Giulia Rodano. E poi ci sono i santuari della Cultura che con la protesta della sinistra hanno poco a che fare: dalla Scala agli Uffizi. «So che il Paese vive un momento difficile. Ma il settore ha già dato, e un taglio di questa entità non è sostenibile». C'è la vetrina ma c'è pure il suo contenuto. La cultura è «un corpo vivo», diceva qualche giorno fa a Repubblica. «E poi non è di parte, appartiene a tutti». Buttiglione è convinto che l'industria della cultura debba ricorrere di più ai privati, ma che questo non può avvenire da un giorno all'altro. «Prenda il settore del cinema», spiega. «Io sono perché si autofinanzi di più, e infatti propongo una tassa di scopo sul modello francese: il cinema per il cinema». Ma «non si può fare rivoluzioni da un giorno all'altro. Un cinema parcellizzato come il nostro ha bisogno di sostegno». Ecco perché i tagli devono rientrare . Dunque Buttiglione rivuole indietro 300 milioni. E per questo ha inaugurato una sorta di minaccia permanente di dimissioni. «Il percorso della manovra è lungo. Tempo a disposizione per rimettere a posto le cose c'è, ma io non scherzo per niente». Tremonti qualche aggiustamento per il settore in realtà lo ha già promesso. Però tra professori è bene intendersi. E siccome iltributa-rista è un mago nello spostare poste da un anno all'altro, l'altro professore (il filosofo) mette le mani avanti. «Sia chiaro», dice. «Partite di giro non ne voglio». La tabella del decreto che taglia le spese del 2005 costa ai Beni Culturali più di 180 milioni, parte dei quali sono soldi che arriveranno comunque nel 2006. «I tagli che accettiamo ora per senso dello Stato non possono diventare la compensazione per il 2006». Buttiglione ricorda al collega universitario che «spesso i filosofi masticano bene la matematica. Farò bene i conti». Il tributarista filosofo è avvertito.
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