Carrozzoni. Scoppia il caso Scala. «Tempio degli sprechi». Giorgio Carbone Libero, 19-OTT-2005
Il premier accusa: stipendi a chi non lavora e 1000 dipendenti quando ne bastano 400.
MILANO Nei giorni scorsi c'è stato, come tanti spettatori tv non possono ignorare, il muro del pianto. Hanno pianto tutti. Attrici (Mariangela Melato) che i singhiozzi li ha sempre elargiti per professione, e autori (Monicelli) che ha sempre saputo come farli elargire. La ragione la sapete: i tagli della finanziaria allo spettacolo italiano. Tagli omicidi, assicurano i piangenti. Anche se molti di loro omettono di rivelare a quanto ammontano i rispettivi cachet di attori nei teatri a pubblica gestione. Ma in mezzo al coro c'è stato qualche dissenso: non è che lo spettacolo si sta uccidendo da solo? Non è che lo show business nostrano più che mal finanziato (dallo stato) è malissimo amministrato? E qualcuno ha citato gli enti lirici di Roma, che sono in attivo (segno che non è impossibile). Mentre al contrario la Scala di Milano ha una voragine di debiti. Posto che la Scala ha sempre goduto di maggiori finanziamenti e di sponsor più munifici rispetto agli altri teatri, di chi la colpa : Silvio Berlusconi non ha dubbi: la Scala è malissimo gestita. Nel corso dell'assemblea costituente del partito unitario della Casa delle Libertà ha fornito persino i numeri: «La Scala di Milano è un orrende carrozzone. Ha mille persona che ci lavorano, quando invece ne basterebbero 400. Tutti dipendenti godono di stipendi da artisti e un ballerino che finisce di lavorare a 40 anni percepisce i pagamenti fino a 65». «Macché tagli alla cultura» ha rincarato Berlusconi «la sinistra (e tutti i media le sono andati dietro) parla di tagli e invece sono stati proprio loro, le amministrazioni precedenti a metterci in una situazione di impossibilità operativa totale». Berlusconi forse s'è basato sul "J'accuse" di Mauro Meli, sovrintendente del teatro lirico milanese per due mesi dal febbraio all'aprile 2005. Dopo di che via lui e via Ricccardo Muti, il direttore d'orchestra più prestigioso d'Italia, l'uomo che aveva portato il tempio della lirica a vette artistiche mai toccate dall'epoca di Toscanini. Muti però era entrato in rotta di collisione colla Cgil scaligera, e allora: fuori dai piedi, come mai si oserebbe fare nemmeno con l'ultimo dei commessi. Meli, attualmente al Regio di Parma, è tornato a esternare in occasione dell'annuncio della diretta gestione da parte del Comune del Teatro della Bicocca. E ha esternato senza peli sulla lingua. «Chi decide sui destini della Scala è una ventina di persone, sindacalisti o ex sindacalisti. Hanno un potere enorme, ma dubito che abbiano come primo interesse il bene del Teatro. Sulla Scala sono stati investiti 250 milioni di euro. Tutti messi in mano a persone dalle idee confuse. Ogni cosa è regolata da accordi sindacali, che non sono scritti, ma che tutti sono tenuti a sapere. Quando c'è un concerto c'è bisogno che uno dei proiettori sopra l'orchestra guardi la sala. Ma non si può. Perché c'è un accordo sindacale che dice: quando un proiettore guarda il pubblico non è più competenza degli elettricisti, e quindi serve un contratto a parte. Insomma per due mesi mi sono trovato in un mondo all'incontrario. Ero venuto per dirigere e sono stato diretto. Da che esiste la Scala è il sovrintendente che occupa l'ultimo piano del Teatro. Invece ora, nelle stanze del sesto piano con vista sul Duomo ci stanno i tecnici. A loro piaceva alloggiare lì, la Cgil li ha accontentati. E nessuno trova il coraggio di dire no alla Cgil». Ieri, in serata, è arrivata anche la risposta della Direzione della Scala a proposito delle dichiarazioni del presidente del consiglio. Poche righe per specificare che «L'organico del Teatro è di 800 dipendenti. E che di questi, più della metà sono masse artistiche. E infine che, per i ballerini, il Sovrintendente Lissner ha presentato richiesta per una modifica di legge che anticiperebbe il limite pensionabile a 42 anni (rispetto agli attuali 47) per le donne e a 52 per gli uomini».
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