SCIOPERO MAESTRO - MILANO - Quasi uniti contro i tagli ANTONELLO CATACCHIO Il Manifesto, 15/10/2005
La cultura ieri ha risposto compatta, ma molte sale cinematografiche erano aperte
Sipario chiuso La finanziaria provoca riduzioni micidiali per lo spettacolo in Lombardia: da 90 a 40 milioni di €. Per molti una realtà insostenibile
MILANO Non è stata una grande prova di compattezza quella offerta dal mondo dello spettacolo milanese. Almeno per quel che riguarda gli esercenti cinematografici. Forse perché ingolositi dalla possibilità di mostrare il nuovo film di Benigni, La tigre e la neve, molti hanno fatto finta di niente. O quasi. Da parte di troppi c'è stata una dimostrazione di grande miopia, come se la cosa non li riguardasse direttamente. Eppure sia Benigni, che 01 (distributrice del film) pur lasciando ovviamente libertà di scelta, avevano detto di aderire allo sciopero. Così non è stato per i padroni del cinema milanese. Hanno preferito l'uovo oggi alla gallina domani. Senza rendersi conto di rischiare di fare una frittata. Perché basta scorrere le cifre nazionali, e non solo, per capire quel che sta succedendo al cinema in generale e lo sconquasso, prima o poi, arriverà anche a colpire loro. Nella presentazione della giornata di protesta, sono intervenuti Lionello Cerri, Silvio Soldini, Ottavia Piccolo, Lella Costa, Giulio Bosetti, Elio De Capitani e altri, e sono state anche sciorinate le cifre che riguardano la Lombardia. E sono cifre terrificanti. Lo scorsa stagione erano arrivati 90 milioni di euro, quest'anno dovrebbero essere ridotti a 40. Secondo Fiorenzo Grassi dell'Agis questo taglio mette a rischio 15mila posti di lavoro, che oltretutto non godono di possibili ammortizzatori sociali. Ci sono poi i due tradizionali fiori all'occhiello della cultura milanese: La Scala e il Piccolo Teatro. Con i 10 milioni di euro in meno la programmazione di quello che è considerato il teatro lirico più famoso del mondo sarebbe a rischio. Situazione analoga per il Piccolo dove ieri c'è stata una manifestazione «teatrale». Ma i grandi nomi, seppure con seri problemi, potrebbero sempre trovare risorse o soluzioni alternative. Quel che verrebbe spazzato via sono quell'infinità di nomi piccoli e sconosciuti che non avrebbero più alcuna possibilità di sopravvivere. Festival minori, non inutili, teatri di provincia, quell'insieme di iniziative e manifestazioni che compongono il tessuto della cultura di un paese. La bufera operata dai tagli del Fus travolgerebbe tutto. Alla fine rimarrebbe chiaro solo un concetto: la cultura non è considerata una risorsa. Almeno questo è quello che si evince dalle scelte, e dai tagli, governativi. E se in crisi sono istituzioni famose operanti da tempo, ancora più preoccupati sono i giovani. Per esempio gli studenti della scuola d'arte drammatica Paolo Grassi che faticano a vedere un minimo di prospettiva per le loro aspirazioni. Se il mondo del teatro e della cultura in generale hanno aderito compattamente alla protesta, all'insegna del «chiudere un giorno per non chiudere per sempre», con l'eccezione dell'esercizio cinematografico. Ma all'interno delle adesioni va segnalato un piccolo sintomatico paradosso: la multisala Odeon e il teatro Manzoni, proprietà Fininvest, quindi facenti capo alla famiglia del presidente del Consiglio, hanno scioperato contro le scelte fatte dal governo.
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