I tagli al Fondo per lo spettacolo tolgono davvero ai poveri? IL FOGLIO 14-OTT-2005
Il lavoratori del settore scioperano per protestare contro la Finanziaria (anche se la cinghia tirata potrebbe non colpirli)
Roma. Prove tecniche di protesta annunciata. Ieri, alla vigilia dello sciopero generale dei lavoratori dello spettacolo contro i tagli previsti dalla Finanziaria 2006 (in programma per oggi), gli assessori alla cultura della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma hanno incontrato il pubblico per tastare il polso della situazione. Del generale discontento testimonia una platea affollata di attori, registi, musicisti e responsabili di teatri, da Carla Fracci a Michele Placido, da Giancarlo Nanni a Roberto Gatto. A rendere inquieti gli animi contribuiscono due paroline chiave messe insieme in stile burocratese: "Combinato disposto". Vale a dire che le istituzioni si preoccupano per un'operazione che somma a una riduzione del Fondo unico per lo spettacolo (da 464 a 300 milioni di euro, pari al 35 per cento circa) le restrizioni previste per la spesa corrente degli enti locali (un meno 30 per cento) che sono pure soci sostenitori di Stabili e Fondazioni liriche. Per esempio, un milione di euro in meno per il Teatro Argentina e il rischio di una riduzione negli orari dei musei e delle biblioteche della capitale. Spiega il sovrintendente del Teatro dell'Opera di Roma, Francesco Emani, "non si tratta di un naturale contenimento della spesa, ma di un taglio che mette a rischio la normale attività di produzione e rende impossibile la competitivita a livello europeo e internazionale". Ma con i tagli si eliminerebbe l'erogazione di un servizio o un lusso superfluo? Il segretario dei Ds Fassino, arrivato per esprimere il sostegno dell'Unione e per parlare dell"'ennesima prova d'insensibilità e miopia con cui il governo affronta i problemi della cultura". Poi annuncia che l'argomento sarà una "priorità dell'iniziativa del centrosinistra nel dibattito sulla Finanziaria in Parlamento". Si chiede un emendamento che cancelli radicalmente il provvedimento. Per il diessino Vincenzo Vita "non si tratta di un problema di settore, ma di un capitolo dello sviluppo economico: non si può certo competere con la Cina producendo jeans a basso costo". Il coro di protesta che arriva dagli artisti ha fatto breccia anche al ministero dei Beni Culturali. Il titolare del dicastero. Rocco Buttiglione (Udc), ha promesso: "Non sarò io che chiuderò la Scala, per questo ho scritto anche al presidente Silvio Berlusconi". Le riduzioni delle risorse statali a favore del Fus (Fondo unico per lo spettacolo) durano da anni. Ma i grafici del ministero, mentre indicano una picchiata del rapporto tra Fus e Pii (prodotto interno lordo), mostrano riduzioni minime del rapporto tra spesa pubblica complessiva e spesa pubblica per la cultura, lo spettacolo e la musica. E nonostante la cinghia tirata, come emerge da un rapporto fresco di stampa dell'Osservatorio per lo spettacolo del dicastero, l'anno scorso sono stati 486 milioni di euro gli stanziamenti totali del Fus ("se mezzo miliardo di euro vi sembrano pochi", si lascia scappare qualche funzionario). La parte del leone la fanno le fondazioni lirico-sinfoniche che si sono viste assegnare 238 milioni, oltre metà del Fus. A seguire ci sono le attività teatrali di prosa (84 milioni), le attività musicali (75 milioni), le produzioni cinematografiche (70 milioni) fino a circhi e spettacoli viaggianti che hanno ricevuto 25,9 milioni. Sulle 14 fondazioni liriche da tempo si appuntano gli esperti, secondo cui occorrerebbe ridurre il costo del lavoro (il 60 per cento medio dei costi totali), troppo elevato e coperto quasi integralmente dai fondi statali. Solo così si potrebbero far quadrare i bilanci, visti i tagli delle Finanziarie. Uno studio dell'economista Giuseppe Pennisi ha evidenziato che solo un teatro lirico (l'Accademia Santa Cecilia di Roma) ha fatto registrare negli anni 1999-2004 un risultato complessivo positivo. E un altro economista, Roberto Perotti, sul sito liberal Lavoce.info, ha osservato che le elargizioni pubbliche in questo settore rappresentano una forma di redistribuzione della ricchezza al contrario, visto che in prevalenza gli appassionati della lirica sono persone abbienti.
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