Museo nazionale archeologico di Taranto: museo autonomo, i perché Giuseppe Mazzarino 10/10/2005 La gazzetta del Mezzogiorno
A colloquio con Pierfranco Bruni, ispiratore della pdl per separare il Museo dalla Soprintendenza
«Esaltare il valore della fruizione e dell'accoglienza»
La riapertura del Museo nazionale archeologico di Taranto nella sua sede storica dell'ex convento degli Alcantarini (San Pasquale) è ormai, fortunatamente, prossima: entro il 2006 aprirà il primo piano, entro il 2007 l'intero Museo tornerà visitabile. In vista della riapertura, e in attesa di conoscere il nuovo progetto espositivo - nelle linee scientifiche generali già pronto, va ora tradotto in scelte tecniche di allestimento - tiene banco anche la questione della eventuale «separazione» del Museo dalla Soprintendenza archeologica per la Puglia, anch'essa ubicata a Taranto. L'ipotesi di rendere autonomo, e direttamente dipendente dal ministero per i Beni e le attività culturali (Mibac, in sigla), il museo di Taranto, come altri musei, soprattutto archeologici e nel Sud, è sostenuta con fervore da Pierfranco Bruni, funzionario della Soprintendenza tarantina con vari incarichi all'interno del Mibac, già vicepresidente ed assessore alla Cultura di Taranto (1995/99) e consigliere nazionale di An. E' lui l'ispiratore della proposta di legge dei due parlamentari jonici di An, Semeraro e Patarino, e a lui An ha affidato l'intera questione della autonomizzazione di alcuni musei. «La questione adesso è in parlamento, e il governo in quanto tale non vuole interferire, ma la formula del Museo Egizio di Torino, fortemente voluta da governo e Mibac, fa capire che è favorevole», ci dice Bruni. L'autonomia non comporterebbe aggravi di spesa, con duplicazione di funzioni? «Relativamente. Si tratterebbe di spostare personale da un capitolo ad un altro; costerebbero qualcosa in più i manager ai quali andrebbe affidata la gestione amministrativa, iniziative promozionali comprese, dei musei; ma la cosa amplierebbe la funzione dei musei stessi e sgraverebbe gli archeologi da compiti burocratici e persino commerciali che non amano e per i quali non sono preparati». Perché svincolarli dalle Soprintendenze? «Il museo è uno strumento che pone in essere sia un modello profondamente culturale sia elementi che aprono un dialogo comparato tra comunicazione e utenza. Il museo deve comunicare oltre che conservare. Deve avere una funzione sempre più rivolta a dei progetti che abbiano come elemento fondamentale la comunicazione e la metodologia didattica. D'altra parte, già oggi alcune incombenze amministrative che erano delle Soprintendenze sono passate alle Direzioni regionali del Mibac. Bisogna osare, lasciare alle Soprintendenze l'attività di tutela e di ricerca ed affidare ai Musei un ruolo di conservazione ma anche di promozione della cultura e della didattica e, perché no, nel solco dell'intuizione di Ronchey, di valorizzazione anche economica e di promozione turistica dei territori». Non c'è il rischio di una specie di privatizzazione dei musei e dei Beni culturali? «Credo di no. Il modello Torino prevede per esempio una Fondazione che fa direttamente capo al Mibac, poi ci sono gli Enti locali; se dovessero entrarci dei privati, avrebbero un ruolo defilato; la nostra ipotesi per Taranto ed altri musei meridionali non è quella della Fondazione ma del decreto ministeriale che li renda autonomi dalle Soprintendenze ma sempre e solo all'interno dell'amministrazione del Mibac». In sintesi: perché? «Per esaltare il valore della fruizione e dell'accoglienza dell'utenza. Una utenza eterogenea che va dagli specialisti ai turisti, dagli studenti ad un pubblico variegato. Il museo deve vedere la compartecipazione di percorsi manageriali proprio nell'atto della gestione. Il futuro del museo non sta soltanto nella tipologia del materiale che si espone ma anche in un modello di gestione aperta che possa guardare con attenzione ad una politica dell'accoglienza».
|