Non si uccide così anche la Cultura? Rita sala Il Messaggero, 9 ottobre 2005
VALENCIA - “Un giorno per la storia”, ha titolato la televisione spagnola, celebrando l’inaugurazione, attesissima, del Palau de les Artes di Valencia. E davvero, di fronte a ciò che si è visto e vissuto ieri sera, prima durante e dopo il Gala musicale diretto da Lorin Maazel alla presenza della regina Sofia, risulta in tutto e per tutto motivata la frase roboante. Duecentocinquanta milioni investiti dalla Comunità Valenciana in una impresa che completa stupendamente la Città della Scienza e delle Arti progettata e realizzata da Santiago Calatrava nell'arco di 14 anni. Un Colosseo della musica che, edificato in 6 anni, comincia a vivere oggi con i suoi 5 auditori, i suoi giardini pensili, i ristoranti, le terrazze e le piscine, potendo contare per il futuro sullo stesso appoggio finanziario che il Governo spagnolo assicura al Teatro Real di Madrid (18 milioni) e al Liceu di Barcellona (12 milioni). Il contributo non arriverà comunque in tempo a sostenere la prima stagione, ma anche questo era previsto: i programmi offerti dal Palau saranno ugualmente «ricchi, diversificati e di altissimo livello artistico e produttivo», assicura Elga Schmidt, intendente del Palau. Tanto più festosa è apparsa Valencia, con i suoi fuochi di artificio famosi nel mondo, la gente entusiasta e l’intera città per la strada, attorno alla nuova casa della Cultura, quanto più triste e assurda figura, per contrasto, l’Italia di una Legge finanziaria che mette in ginocchio proprio i Beni Culturali e le Arti. Qui, da noi, si è deciso un taglio ulteriore ai finanziamenti della Cultura pari a circa il 40 per cento (da 464 a 300 milioni di euro). Un colpo basso e inutile contro il quale non solo la base, ma gli stessi vertici di settore si stanno ribellando con forza. Il ministro Rocco Buttiglione non usa mezzi termini: «Non basta ridurre il taglio, occorre proprio cancellarlo. Non sono i 250 milioni di euro complessivi, fra decurtazioni al Fus (Fondo unico dello Spettacolo) e riduzioni degli apporti derivanti dal Lotto, a poter sanare il bilancio dello Stato. L’unico effetto del provvedimento sarebbe la débacle della cultura e dello spettacolo nel nostro Paese». «Chiuderebbe i battenti il centro sperimentale di Cinematografia - incalza Gaetano Blandini, direttore generale del Cinema -, non si potrebbe fare la Mostra di Venezia, cesserebbe l’attività della Cineteca nazionale..., l’intera attività produttiva risulterebbe inevitabilmente depressa...». E Salvatore Nastasi, suo corrispettivo per lo Spettacolo dal vivo e Sport: «Il taglio, che come dice il Ministro nulla risolve a livello generale, firmerebbe invece la condanna delle nostre Fondazioni liriche, degli Stabili, delle compagnie di prosa e di danza, delle già ossute rappresentanze della sperimentazione...». Le associazioni di categoria e i lavoratori, naturalmenete, non accettano la fine e scendono in piazza compatti. Dopo aver assorbito con indubbio senso di responsabilità nel corso delle ultime stagioni, i progressivi ridimensionamenti dell’apporto pubblico al loro lavoro, adesso dicono basta. Non hanno nemmeno più la speranza di appellarsi agli enti locali, che, a loro volta, subiranno forti riduzioni degli stanziamenti fin qui loro demandati. Le note del preludio della Carmen di Bizet, che ieri sera Maazel ha trionfalmente fatto risuonare a Valencia, se rapportate alla situazione italiana, hanno il passo di una beffa. E dire che possediamo gli edifici teatrali che hanno fatto la storia della lirica, le sale dalle quali sono partite le istanze europee degli Stabili di prosa (il Piccolo di Milano fondato da Strehler e Grassi), le nuove realtà aggregative (il Parco della Musica di Roma), che l’opinione internazionale annovera fra quelle esemplari per una metropoli contemporanea. Dobbiamo rassegnarci, nonostante questo, alla decadenza culturale? Vorremmo proprio sperare di no. Siamo pur sempre la terra della musica, dei grandi attori, dei parchi archeologici, ma anche di magiche riprese di cui nessuno, alla fine, sa identificare i meccanismi. Eppure Valencia apre al mondo il nuovo Colosseo, fatto per le orchestre, non per i gladiatori, mentre noi annaspiamo per trasformare una già lunga agonia in semplice sopravvivenza. Un po’ poco, non credete?
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