Settis: biglietti più cari e meno visitatori. Così si finisce per chiudere tutti i musei Andrea Di Robilant La Stampa 5/10/2005
«I nostri musei non sono un optional, non sono ambienti decorativi a cui gettare ogni tanto qualche elemosina. Sono una ricchezza sulla quale investire. E invece, ancora una volta, dobbiamo registrare una disattenzione patologica della classe politica nei confronti dei nostri beni culturali». Salvatore Settis, direttore della Normale di Pisa, storico dell'arte, esperto di musei e museologia e autore di «Battaglie senza eroi», una raccolta di saggi su questi temi appena pubblicata da Electa, lancia una durissima accusa contro la classe politica. E avverte che quest'ultimo taglio al bilancio per i beni culturali mette seriamente a rischio l'attività museale nel nostro Paese. Come spiega questa cecità cronica? «Non credo in una congiura. L'unica spiegazione che ho è il singolare deficit culturale dei nostri politici. Ahimè trasversale». Il ministro Buttiglione ha parlato di un taglio di 198 milioni di euro... «Ma è molto superiore, tra i quattrocento e i cinquecento milioni, rispetto alle esigenze minime avanzate dal ministero in sede di bilancio». Sembra impossibile che si arrivi a chiudere i musei. «Invece è una conseguenza inevitabile. Alcuni musei cominceranno a chiudere sale, altri dovranno chiudere per alcuni periodi». In realtà ci stavamo abituando non solo a musei aperti ma anche ad orari più lunghi, con aperture serali. «Un'esperienza molto positiva, che ci ha avvicinati ai musei europei. Ma è stato possibile grazie a personale variamente precario che bisogna poter pagare per tenere». Il ministro propone di aumentare il costo del biglietto. E' una soluzione? «Il calo dei finanziamenti porterà per forza al rialzo dei biglietti e così avremo meno visitatori. Non può essere questa la soluzione del problema. Il nostro obiettivo dovrebbe essere di attirare la gente nei musei, non di allontanarli. Avremo meno giovani, meno famiglie. Idealmente, i musei pubblici dovrebbero essere gratis». Gratis? «Noi non abbiamo mai coltivato una tradizione di questo tipo, ma per i britannici, ad esempio, sarebbe impensabile pagare il biglietto per andare alla National Gallery». In realtà la finanziaria prevede il riassorbimento di alcuni precari. Può essere utile? «I nostri beni culturali sono un patrimonio delicato. L'accesso al ministero non può essere possibile solo attraverso il precariato: abbiamo bisogno di personale tecnico di alto livello. Invece abbiamo sempre meno personale qualificato. Non ha senso stabilire un Codice dei beni culturali se poi non si ha il personale per applicarlo».. E i concorsi? «Saranno vent'anni che non si fanno più concorsi. L'età media del nostro personale tecnico è di 55 anni. Il 30 per cento delle sovrintendenze è retto da reggenti perché non abbiamo abbastanza dirigenti per riempire quei posti». Come se ne esce? «Un'inversione di tendenza nei finanziamenti e il ripristino dei concorsi» Altrimenti? «Se continuiamo di questo passo tra dieci anni i nostri musei saranno chiusi. E nelle sovrintendenze non ci sarà più nessuno». |