L'Esercito farà rinascere i tesori afgani Maurizio Piccirilli Il Tempo, 4/10/2005
Tesori nascosti. Dimenticati e degradati da trenta anni di guerre e oscurantismo. Le testimonianze artistiche e culturali dell'Afghanistan stanno per tornare alla luce della conoscenza del mondo. Artefice di questo quasi miracolo è l'Esercito italiano. A Herat, capitale della regione occidentale dell'Afghanistan, sede di un Pct, provincial construction team, a guida italiana , da tre mesi è al lavoro un tenente della riserva selezionata che ha ricevuto un ordine preciso: catalogare i monumenti e le opere d'arte e definirne lo stato di degrado. Elena Croci, giovane milanese esperta di comunicazione d'arte, professione che svolge in autonomia per banche e grandi imprese valorizzando la loro immagine attraverso il mecenatismo, consigliando anche cosa acquisire nell' settore, ha preso il suo compito con molta serietà. Lontano dalle scrivanie di design, dai riti dei vernissage eccola tra le polverose strade della provincia di Herat, mimetica giubbotto anti proiettile e macchina fotografica. «È un'esperienza che mi coinvolge moltissimo - confida con una voce squillante che dà corpo al suo entusiasmo - Sto facendo ricognizione del patrimonio culturale dell'Afghanistan scoprendo cose incredibili. Ormai ho raccolto tanti dati per pubblicare un libro». Herat è una provincia ricca da questo punto di vista. Citata nelle Mille e una notte, vanta origini antiche? «Alessandro Magno è passato da qui. E nonostante le crisi politiche che hanno attraverso nei secoli questo paese sono ancora molte le testimonianze di un certo valore. Fino al '500 si sono succedute e sovrapposte diverse culture che hanno lasciato tracce importanti». Alcune di queste sono simboli di Herat. «Certamente, basti pensare alla moschea del Venerdì conosciuta come Masjid-i-Jami, uno degli edifici islamici più belli al mondo. Il bazar di Char Suq, la fortezza. La madrassa costruita nel 1400 da Shah Ruk moglie di Tamerlano. La sua tomba è un altra testimonianza importante e sorge vicino alla scuola coranica. Non si può dimenticare poi il complesso religioso di Gazar Gah dove si trova la tomba del mistico sufi. Sulla strada che conduce a Kabul c'è il minareto di Jam alto 65 metri». Qual'è lo stato di salute di queste strutture? «In genere molto degradata. Alcuni di questi monumenti sono sotto l'egida dell'Unesco ma per ragioni di sicurezza poco è stato fatto finora. E in alcuni casi ci sono stati interventi molto discutibili come il restauro di alcune maiolica di epoca tumiride, dei tempi di Tamerlano appunto che è stato molto approssimativo. Il minareto di Jam e stato solo ancorato con dei cavi d'acciaio. C'è molto da fare e la documentazione voluta dall'Esercito italiano sarà uno strumento molto utile». Alessandro Magno, Tamerlano, ogni pietra trasuda storia? «Ancora di più. Qui sono passati anche i re persiani, Ciro il Grande Dario fino all'invasione degli unni bianchi di Tamerlano. Ecco le opere importanti rimaste sono proprio di questo periodo». Ha scoperto qualcosa di particolare? «Una cosa che pochi sanno è la presenza di un antico ghetto ebraico nella cittadella di Herat. Fino al 1979, prima dell'invasione sovietica, c'erano cinque sinagoghe e un hammam. Ora una è stata trasformata in moschea le altre in madrasse. L'hammam è rimasto tale ma musulmano. Anche per questo esiste un progetto di recupero dell'Unesco. La moschea del venerdì è in uno stato di degrado enorme. Dei 18 minareti ne sono rimasti in piedi cinque e uno senza interventi rapidi non resisterà a lungo». Nessuno interviene? «I militari italiani stanno facendo questo lavoro di censimento che potrà servire da punto di partenza. Ci sono alcune Ong che si stanno occupando del recupero. Le Ong che fanno riferimento all' Unesco si sono di fatto ritirate. Sta invece facendo un buon lavoro quella del'Aga Khan. Utilizzano manodopera locale alla quale insegnano anche tecniche e metodi di restauro utilizzando antiche procedure. Questo consenti di infondere nella popolazione anche il senso di appartenenza e tradizione perse negli anni della guerra». E L'Italia cosa fa? «Molto i soldi stanziati sono stati tutti utilizzati. Altri Paesi europei tengono invece ancora i cordoni della borsa stretti». Come si è trovata come donna a girare in un Paese con li atteggiamento oscurantista? «La divisa mi ha molto aiutato. Essere italiana e indossare la mimetica dell'Esercito sono stati ottimi lasciapassare. I soldati italiani hanno una capacità di socializzare e di sviluppare rapporti che consentono di stabilire buoni rapporti con la popolazione. Come donna ho cercato di non provocare la suscettibilità di alcuno. Ho sempre il berretto in testa, aspetto sempre che sia l'interprete a introdurmi. Ma quando vengono a sapere cosa sto facendo con la macchina fotografica e il blocchetto degli appunti anche gli anziani mi stringono la mano. Ecco, forse il senso del lavoro che l'Esercito mi ha ordinato è in quelle strette di mano».
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