LA SFIDA DEL DECORO PAOLO CONTI CORRIERE DELLA SERA 30SET2005
Come dimostra l'operazione di riasfaltatura di gran parte dell'asse del lungotevere (rapidissimo, ineccepibile) Roma quando vuole cambia. E risolve molti problemi legati al decoro, parola solo apparentemente antiquata e polverosa che invece indica molte piaghe della contemporaneità legate alla convivenza civile. Decoro non è certo solo perbenismo, così come il buon governo di una città non è solo buonismo. Prendiamo il decoro di piazza san Giovanni. Il racconto di Edoardo Sassi certifica, oltre ogni ragionevole dubbio, il problema di quel pezzo di città. All'alba si trasforma in un suk di disperati. Lì si organizza probabilmente una parte del racket dei mendicanti che poi invaderanno la città. Lì si espone mercé di dubbia provenienza. Doppio problema di decoro: di ordine pubblico e di assistenza a quei disgraziati costretti a sopravvivere ai margini della società. Agiscono di notte perché la notte li protegge: e insieme li isola dal resto della città, perpetuando un circuito drammatico. La storia che il Corriere della Sera racconta non è certo la cronaca di una Porta Portese qualsiasi. È la certificazione di una zona oscura di Roma invisibile ai più: non la vede chi lavora di notte, non la vede chi si alza magari presto. Altra questione di decoro. I graffiti dei vandali sui monumenti, persino sui marmi romani, sui muri dei palazzi pubblici e anche privati. Ne ha parlato martedì sul Corriere della Sera Alberto Ronchey che, da ministro per i Beni culturali, tentò di varare un disegno di legge «antispray». Finì nel nulla. Ma sarebbe il caso di ridargli vita. Basta guardare cosa accade a Roma. Anche qui è una questione di decoro, nell'accezione di cui sopra. Ieri sia L'Unità che Liberazione, con diversi toni, hanno ironizzato sull'intervento di Ronchey contro i graffitari. Vale la pena di ricordare che la questione affligge anche Roma. E appartiene alla lista delle preoccupazioni della giunta. Solo nel 2004 l'Azienda Municipale per l'Ambiente ha speso 800 milioni di euro per avviare la campagna «Palazzi-Decoro urbano» (rieccola, la parola) voluta dal Campidoglio. Disse Veltroni: «Si tratta di un intervento di salvaguardia delle bellezze di Roma ma anche di un programma di cambiamento culturale. Solo il 10 per cento dei muri puliti nella prima parte dell'operazione sono stati nuovamente imbrattati dalle scritte. Perché decoro chiama decoro». Ha ragione Veltroni quando parla di muri «imbrattati» e di «decoro». Non c'è un Keith Haring a ogni angolo di Roma. I teppisti, invece, sono tanti.
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