Graffiti in città, la sfida della giunta «No agli imbrattatori, sì al decoro» Lauretta Colonnelli CORRIERE DELLA SERA 30-SET-2005
Dopo l'editoriale di Ronchey (criticato da Sansonetti e dall'Unità), la parola a intellettuali e politici capitolini: che si schierano con l'ex ministro
«I graffiti sono anche pericolosi. Nelle pareti dei sottovia, costruite con materiali che riflettono la luminosità, possono essere causa di incidenti per le automobili. Nel Passante a nord ovest, per esempio, abbiamo speso milioni di euro per realizzare pareti riflettenti e lavabili e i graffitari hanno già comincitao a imbrattarle. Che senso ha? Oltretutto nessuno li vede. Non è un posto dove si passeggia, ma solo una strada dove le auto vanno a forte velocità». Parla Giancarlo D'Alessandro, assessore comunale ai Lavori Pubblici, che per arginare i danni causati dai vandali con la bomboletta sta facendo installare telecamere nei pressi dei monumenti e in molti punti del centro storico. «Si sono rivelate l'unico deterrente. Nei cento siti che abbiamo già sotto controllo le scritte non sono più comparse». Ma le spese sono enormi. Dal 2003 ad oggi, l'amministrazione capitolina ha speso sei milioni di euro solo per la manutenzione delle telecamere e 4 milioni e 800 mila euro per la realizazione dei nuovi impianti. Il problema dei graffiti, ricordato due giorni fa da un articolo di fondo di Alberto Ronchey sul «Corriere della Sera», opprime in modo particolare Roma e il suo centro storico. Ne sa qualcosa il sindaco Walter Veltroni che dal 2001 ad oggi ha speso oltre dieci milioni di euro per ripulire i tesori architettonici della città ed ha intrapreso la strada della dissuasione in tutti i modi, «regalando» ai graffitari anche alcuni spazi nel X municipio e in altre zone, dove i disegni con lo spray non solo non deturpano ma poptrebbero addirittura risultare gradevoli. Eppure il discorso di Ronchey ha innescato una polemica. L'ex ministro dei Beni culturali lamenta che le città, già sofferenti tra smog e frastuono, vengano anche «offese o sempre più sfigurate dal fenomeno del graffitismo vandalico su monumenti e immobili». Prosegue elencando gli incalcolabili danni e i costi in restauro che le varie giunte, compresa quella capitolina, sono costrette a sostenere ogni anno per la ripulitura. Osserva che «numerosi graffitìsti comunicano solo ingiurie, parapolitiche o parasportive» e che altri, «pittori amatoriali», reclamano il titolo di artisti metropolitani». L'articolo ha provocato le reazioni de «l'Unità» diretta da Antonio Padellaro, che in un corsivo attacca: «Come ci si può spaventare di un po' di colore, tuttalpiù si smacchia!». E di Piero Sansonetti, che in un editoriale di «Liberazione» accusa l'ex ministro di «fare un balzo del gambero di 40 anni». «Dal 1968 in poi - prosegue - nessuno più aveva osato presentarsi al pubblico dibattito vestito in modo talmente ostentato da benpensante». Eppure il fenomeno dei graffiti romani è considerato universalmente una vera e propria piaga, tanto da essere arrivato due anni fa persìno sulle prime pagine del «New York Times». E Luca Odevaine, vice capo Gabinetto di Veltroni, ha creato un «Ufficio del decoro urbano» proprio per contrastare, precisa, «chi continua a imbrattare i muri imprimendo una sorta "marchio" del territorio». C'è chi distingue, come l'assessore alla cultura Gianni Borgna, tra quelli che fanno le scritte e quelli che fanno i disegni. «I primi - dice Borgna - sono soltanto degli sciagurati. I disegnatori in certi casi possono essere artisti». Anche quando i disegni li fanno sulla Colonna Antonina? «No, in questo caso sono degli imbrattatori esecrabili. Ma quando riempirono di colori le facciate cadenti delle case di via Tor di Nona, hanno avuto il merito di attirare l'attenzione sul degrado dì un quartiere storico». Drastico Paolo Portoghesi, che pure ha caldeggiato il restauro dei graffiti del Sessantotto sulla facciata della facoltà di Architettura a Valle Giulia: «Se trent'anni fa i primi graffiti potevano avere un significato culturale, oggi non sono altro che una ripetizione volgare, uno sfogo, come prendere uno stupefacente. Non è così che si forma l'educazione artistica nei giovani. Credo addirittura che ci siano dei manuali da cui copiare i caratteri. Altro che creatività. E poi ci sono tanti modi di esprimersi senza infliggere danni alla collettività».
A Roma, dove l'amministrazione capitolina spende già due milioni e mezzo di euro l'anno per i restauri si spera in oltre duemila telecamere fisse.
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