Alta velocità: metti un Ponte di Messina fra Torino e Lione Paolo Hutter l'Unità 30-09-2005
Il progetto di seconda linea ferroviaria (con annesso secondo tunnel ferroviario accanto al Frejus) per l’Alta Velocità tra Torino e Lione è per molti aspetti paragonabile al Ponte sullo Stretto di Messina, oltre che al Mose di Venezia. È molto meno famoso, al di fuori del Piemonte, ma in realtà costerebbe come Ponte e Mose messi assieme, e i suoi cantieri durerebbero anche di più della somma degli anni delle altre due opere. Una picconata di Lunardi e una illuminante esternazione di Berlusconi - ambedue nel giro di poche ore - hanno fatto emergere la necessità di “nazionalizzare” l’attenzione e il conflitto su questa grande opera, mentre crescono le probabilità di una prova di forza a breve termine tra polizia e comunità locali della Valle di Susa. La picconata è la decisione piuttosto improvvisa e brutale del governo di ritirare i suoi rappresentanti dalla commissione tecnica che cercava di trovare una soluzione concordata con gli Enti locali per la realizzazione di alcuni carotaggi, e soprattutto l’imposizione, invece, – tramite lettera di preavviso ai proprietari dei terreni – della data del 6 ottobre a partire dalla quale la polizia può forzare e la magistratura può denunciare i presidianti. Regione Piemonte e Provincia di Torino – pur essendo tendenzialmente favorevoli all’opera – stavano lavorando nella commissione tecnica per cercare di mediare sui carotaggi, di per sé abbastanza innocui ma la cui pendenza ha mobilitato attivamente da giugno migliaia di valsusini in presidi permanenti, e si erano dichiarate disponibili ad allargare il confronto ai temi più sostanziali dell’impatto dell’opera. Mentre Lunardi picconava e dava ultimatum, Berlusconi chiudeva la porta a marce indietro sulle dighe del Mose di Venezia, e alle richieste del comune di Venezia, ed annunciava che tre sono le opere storiche ed epocali per l’Italia. Ovviamente non il riassetto idrogeologico, né l’efficienza idrica, e neanche la modernizzazione delle reti di trasporto locale, ma il Ponte sullo Stretto di Messina, le dighe del Mose nella Laguna e quello che il presidente operaio chiama “il traforo del Frejus” (come se non ce ne fosse già uno). C’è qualcosa di coerente in questa affermazione, anche se si tratta di una gestione politica e culturale di progetti nati prima dei governi del Cavaliere e supportati da lobby capaci di trasversalismo e di prescindere dal centro-destra. Tutte e tre queste grandi opere sono state innanzitutto e fermamente contestate dagli ambientalisti (non solo dai Verdi, ma da tutte le associazioni e da tutti gli esperti) per motivazioni che si sono progressivamente allargate e dal campo ambientale sono andate a basarsi solidamente sul campo economico. In discussione sono il rapporto tra costo e benefici e l’effettiva priorità rispetto alle necessità del paese. Nel caso del Tav Torino Lione è mancato finora un confronto aperto tra i trasportisti e si andati avanti a giudicarla opera strategica come se l’avesse già deciso il popolo sovrano valutando le alternative. La forzatura di Lunardi, tesa anche a mettere in difficoltà il centro sinistra piemontese e riaccreditare Forza Italia negli ambienti imprenditoriali più interessati alla lenta ma lunga pioggia di miliardi pubblici sottesa alla TorinoLione, potrebbe provocare l’effetto opposto. E cioè quello di aprire gli occhi sull’assurdità di considerare opera prioritaria la delicata escavazione di decine di chilometri di Alpi per farci passare non si sa bene quanta gente e quanta merce ad alta velocità. |