Napoli. Primo sopralluogo. Gravi danni a Castel dell’Ovo Natascia Festa Corriere del Mezzogiorno - Campania 5/1/2021
Ogni catastrofe ha un simbolo e quello delle recenti mareggiate è senz’altro l’arco borbonico travolto dalle onde. Ovvero la fine in chiavica del «chiavicone», ultima traccia della cloaca maxima di Napoli, nella quale, secondo Carlo Celano, i becchini sovraccarichi di lavoro buttavano anche i napoletani morti di peste e di colera.
Oltre il simbolo è Castel dell’Ovo, icona di Partenope, ad aver subito i danni più ingenti. «Lì il disastro dei marosi è veramente notevole» dice il soprintendente ai Beni archeologici e paesaggistici Luigi La Rocca che ieri, insieme con alcuni funzionari e i carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, i militari del Comando Provinciale di Napoli e quelli del Nucleo Subacquei hanno fatto un sopralluogo al Lungomare. «Le conseguenze più devastanti - prosegue La Rocca - sono quelle sulla pavimentazione del Ramaglietto. Gran parte è stata sollevata dalle onde». Si tratta degli antichi basoli di pietra lavica vesuviana - ormai rarissima - completamente divelti dalla furia del mare.
Il Ramaglietto, oggi usato dal Comune per eventi, ha una storia a sé che parte dall’ultimo decennio del Seicento, quindi «moderna» rispetto alla costruzione del maniero. Fu costruito, infatti, sull’antico «ciglio del sole» al posto di alcuni mulini a vento.
A volerlo per scopi difensivi fu il viceré Francesco Bonavides conte di Santo Stefano, alla fine del Seicento.
«Il fortino - si legge su iCastelli.it - era in grado di contenere sino a sessanta pezzi di artiglieria, grazie alla sua notevole estensione verso il mare. Dal Ramaglietto, attraverso un camminamento che fiancheggia il castello, si giunge all’arco naturale che in passato, aperto sul mare, identificava l’immagine dell’isolotto». Quell’arco crollò nella prima metà del Quattrocento durante il regno di Giovanna D’Angiò. Fu poi ricostruito in muratura e se ne leggono tracce in quella che oggi è definita Sala Italia.
Da un arco crollato all’altro. Dopo il sopralluogo di ieri, si attende la perizia tecnica dei carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale che accerterà le cause del cedimento e verrà consegnata all’autorità giudiziaria. Non solo. La perizia ha anche un altro obiettivo, forse più importante: verificare se il materiale franato, non trascinato a largo dalla furia delle onde e rimasto intrappolato nei tubi Innocenti, sarà sufficiente per riportare l’arco alla sua antica forma.
«La ricostruzione spetta all’autorità portuale - precisa La Rocca - e verrà concertata con la Soprintendenza perché si tratta di un vero e proprio intervento di restauro». Tempi lunghi, dunque? «Tempi tecnici direi: speriamo di poter concludere per l’estate i lavori di progettazione, affidamento ed esecuzione» conclude.
E risale a maggio scorso una email dello stesso Soprintendente La Rocca in risposta alle richieste del consigliere regionale dei Verdi Francesco Borrelli che aveva sollecitato l’istituzione alla cura del manufatto: «In quella occasione - dice il consigliere - siamo stati informati che l’arco essendo di proprietà del demanio era in consegna all’Autorità Portuale che avrebbe dovuto occuparsi della conservazione e della tutela del bene. Proprio per questo, la stessa soprintendenza aveva provveduto a inoltrare una diffida affinché si effettuassero gli interventi di restauro».
Intanto è pronta anche un’interrogazione parlamentare. «Il mancato restauro dell’arco borbonico di via Partenope e il susseguente crollo di un’opera storica sono l’ennesima sconfitta dell’attuale classe dirigente napoletana. Nel 2020 diversi attivisti hanno segnalato il pericolo e, dallo scorso giugno, si attende un intervento dell’Autorità portuale chiamata in causa dalla Sovrintendenza partenopea» dice il senatore del M5S Vincenzo Presutto.
E poi: «Sono passati mesi e la dirigenza dell’autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Centrale non si è mai curata del problema. Anche quando la mareggiata della settimana scorsa ha quasi del tutto messo in pericolo il monumento storico, non si è intervenuti. Chiederò, appena le attività in aula me lo consentiranno, con una interrogazione ai ministri Dario Franceschini e Paola De Micheli, di verificare le responsabilità e di mettere in atto tutte le misure in loro potere per recuperare un bene storico». |