Firenze. Un batterio per Michelangelo Chiara Dino Corriere Fiorentino - 3/7/2020
A un occhio attento — e fortunato per averle osservate da vicino montando sui ponteggi — le tombe medicee di Michelangelo, nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze, raccontano una storia di secoli. Almeno cinque, tanti quanti ne sono passati da quando papa Leone X chiese all’artista di progettare le sepolture monumentali per i congiunti, Lorenzo duca di Urbino e Giuliano duca di Nemours. Macchie, segni grafici, tracce di colore e di composti organici, che in questi ultimi mesi sono stati rimossi con l’ausilio di acqua demineralizzata, raggi laser e batteri prodotti dall’Enea, ci parlano grazie alla mediazione di tre donne che stanno completando un restauro decennale in conclusione il 15 luglio.
Si tratta di Daniela Manna e Marina Vincenti, che al recupero lavorano materialmente, e di Monica Bietti responsabile e direttrice del restauro, cui se ne aggiunge un’altra, Paola D’Agostino alla guida dei Musei del Bargello. Tre vestali di uno dei capisaldi della cultura figurativa occidentale. Ma prima un po’ di storia: è il 1519 quando papa Leone X, (figlio di Lorenzo il Magnifico e di Clarice Orsini battezzato col nome di Giovanni) abbandona l’idea di ultimare la facciata della basilica di San Lorenzo e chiede a Michelangelo di progettare una nuova cappella di famiglia per le tombe di Lorenzo duca di Urbino e di Giuliano duca di Nemours.
Il primo, che troviamo alla sinistra dell’ingresso della Sagrestia Nuova con le due statue che simboleggiano l’Au rora e il Crepuscolo ai piedi del defunto; il secondo dove campeggiano le allegorie della Giorno e della Notte . Alla morte di Leone X , il cugino cardinale Giulio de’ Medici, futuro papa Clemente VII, confermò l’incarico a Michelangelo, che per la Sagrestia Nuova aveva realizzato anche la Madonna con Bambino che sovrasta la tomba del Magnifico e del fratello Giuliano. Nel 1527 il progetto subirà un primo rallentamento per il sacco di Roma e l’allontanamento di Michelangelo durante l’assedio di Firenze (1529) che, con il ritorno di Alessandro dei Medici al potere, temeva la morte. L’impegno del Buonarroti in San Lorenzo durerà fino al 1534 quando andrà via da Firenze per ritornarvi solo da morto, nel 1564. «Nel 1534 — spiega Monica Bietti — l’artista aveva completato le sette statue, ma le aveva lasciate a terra. Lo stallo durerà fino al 1545 quando sarà chiesto al Tribolo di collocarle dove le vediamo oggi». Quello che accadde poco dopo, e nel corso dei secoli, lo si sa da fonti documentali e dagli studi condotti durante il restauro. «Nel 1563 — continua Monica Bietti — venne fondata a Firenze, per volere di Cosimo I e su consiglio di Giorgio Vasari, l’Accademia delle Arti del Disegno che ebbe qui la sua prima sede. Vasari racconta che in Sagrestia mancavano le finestre e che i preti per riscaldarla vi accendevano il fuoco noncuranti del fatto che il fumo avrebbe annerito le sculture. Ma non accadde solo questo».
«Gli Accademici o comunque chi nei secoli eseguì i calchi delle statue — spiega Marina Vincenti — hanno lasciato dei segni grafici sulle statue di Michelangelo. Negli occhi della Notte , grazie a indagini fotografiche a infrarossi e ultravioletti, abbiamo trovato una sorta di eyeliner, una striscia scura posposta. Le loro esercitazioni, realizzate a sanguigna e a matita, si vedevano a occhio nudo anche sul Crepuscolo e sull’Aurora, soprattutto in corrispondenza delle pieghe dei corpi». Così come si riconoscono altre macchie più scure, qua e là su tutti i corpi delle statue.
«In questo caso si tratta — aggiunge Vincenti — di resti di cere e di oli giustapposti nei secoli, da quando, poco dopo la loro ultimazione, si cominciò a produrre dei calchi delle sculture». L’operazione di ablazione di tali macchie è molto delicata. Ci viene in aiuto Daniela Manna: «Qui lavoriamo con un laser di ultima generazione di El. En. Group ma l’intervento va fatto con molta cautela perché questo tipo di strumentazione si attiva ogni qual volta riconosce un colore diverso dal bianco. E visto che il marmo di Carrara utilizzato dal maestro non è puro, dobbiamo evitare di agire nelle venature più scure originarie». L’errore sarebbe fatale perché potrebbe causare la spaccatura delle sculture in corrispondenza della venature. Ovviamente la gran parte dell’intervento preliminare, oltre che implicare un attento studio delle opere, è stato fatto con l’intento di eliminare la polvere che di giorno in giorno vi si deposita con il solo ausilio di aspiratori e impacchi di acqua demineralizzata, con verifiche continue condotte dal Cnr: «Gli impacchi hanno la stessa funzione di quando la sera ci strucchiamo e togliamo dalla pelle lo sporco atmosferico — interviene Monica Bietti — seguendo una procedura messa a punto dieci anni orsono, con Cristina Samarelli quando si cominciò a pulire porte e pareti della Sagrestia segnate dalle impronte della mani dei visitatori».
Ma non basta. L’intervento delle restauratrici ha riguardato altri due aspetti non secondari. «In primo luogo – spiega ancora Marina Vincenti — grazie a indagini colorimetriche e di riflettanza della luce eseguite da Andrea Rossi abbiamo scoperto che, durante il precedente restauro della fine degli anni Ottanta Agnese Parronchi era intervenuta sulle sculture con una cera protettiva e con delle velature ad acquerello, probabilmente per attenuare delle zone che le sembravano troppo luminose, ora eliminate con il solo ausilio di acqua».
Infine, cosa che probabilmente avverrà a ponteggio smontato e dunque dopo il 15 luglio, si interverrà sul sarcofago di Lorenzo duca di Urbino alterato da macchie di colore più scuro. «In questo caso siamo in presenza di ossalati e materiali organici, che saranno rimossi grazie all’ausilio di un batterio isolato dall’Enea e riprodotto in laboratorio in grado di “mangiare” il deposito che si presenta di colore più scuro». A tal proposito spiega Monica Bietti: «Quando le 1537 il duca Alessandro de’ Medici fu ucciso le sue spoglie vennero deposte nello stesso sarcofago del duca di Urbino. Ma, a differenza del trattamento riservato agli altri defunti della Sagrestia, il suo corpo non sottoposto a eviscerazione e a imbalsamazione, nel tempo ha restituito dei liquidi filtrati fino all’esterno in corrispondenza di queste macchie». Le ultime che saranno eliminate. |