Torino. Giovara, le Fondazioni e gli assessori «esterni» Gabriele Ferraris Corriere della Sera - Torino 21/2/2019
Di per sé, la mozione presentata qualche giorno fa dal consigliere Cinquestelle (e presidente della Commissione cultura) Massimo Giovara, non propone nulla di particolarmente nuovo: chiede che il Comune induca le Fondazioni culturali di cui è socio a sostenere e promuovere le energie artistiche torinesi. Detta così, basterebbe invitare Giovara a scoprire quanto quelle Fondazioni — dallo Stabile al Museo del Cinema, dal Teatro Ragazzi alla Film Commission — già oggi fanno per creare (cito dalla mozione) «occasioni di lavoro in ambito culturale e di promozione della creatività in generale che spontaneamente nascono dal territorio». Questo già succede regolarmente, e Giovara — che di mestiere fa l’attore — dovrebbe saperlo, almeno per esperienza personale. Ma Giovara apre la sua mozione citando le promesse elettorali di Chiarabella, ovvero quegli «obiettivi» che, in materia di cultura, non mi sembrano ancora del tutto raggiunti. Si direbbe quasi che miri a scaricare direttamente sulle Fondazioni culturali la realizzazione del programma politico dell’amministrazione comunale.
In tal caso mi corre l’obbligo di ricordare sommessamente che le Fondazioni non sono enti strumentali di Palazzo Civico. Non esistono per assecondare le volontà della politica. Con un’unica eccezione: la Fondazione Cultura, nata proprio per organizzare le manifestazioni direttamente volute e ideate dall’amministrazione torinese, tipo il Festival Jazz, o Biennale Democrazia. Non a caso è l’unica Fondazione culturale partecipata e finanziata esclusivamente dal Comune di Torino. Tutte le altre hanno altri soci: almeno la Regione e una o entrambe le Fondazioni bancarie. Spesso il Comune è un partner minoritario, nel senso che paga meno degli altri. Ripeto: non mi pare proprio che le Fondazioni ignorino e non offrano opportunità alle famose «risorse locali». Ma ogni istituzione culturale ha una mission sua propria. L’università ha obiettivi diversi dall’asilo, così come — ad esempio — un teatro nazionale non è prioritariamente tenuto a dare una chance a giovani promesse e vecchi irrealizzati: sebbene lo Stabile lo faccia, almeno per quanto riguarda le giovani promesse. Ma esistono altri livelli, altri spazi per far crescere gli esordienti: se il potere ci tiene, sostenga — faccio un altro esempio — le realtà come Piemonte Movie, che fanno emergere i nostri nuovi talenti cinematografici, anziché imporre al Museo del Cinema di programmare — tra una rassegna su Pabst e una su Dreyer — le opere di Ciccillo il bravo videomaker di barriera. Il contesto è tutto: e fuori contesto le «quote» calate dall’alto diventano riserve indiane fini a se stesse e disertate dal pubblico.
Qualcuno potrebbe insinuare che in concreto la mozione Giovara delinei una presa di potere della politica sulla cultura, con un sindaco che impone i cantanti al Regio e gli attori allo Stabile; che decide quali mostre si fanno a Palazzo Madama o quali spettacoli mette in scena il TPE; che dice al Museo del Cinema quali pellicole proiettare o a Film Commission quali produzioni sostenere. Ciò significherebbe una sorta di MinCulPop 2.0; o più modestamente un ente benefico (volgarmente detto «greppia») per sedicenti artisti incompresi. Di sicuro non è questa l’intenzione di Giovara, il ciel mi scampi da simili retropensieri: egli stesso, nella mozione, garantisce il rispetto dei «margini di autonomia nelle scelte di tipo artistico e scientifico». E meno male.
Mi preme però di ricordare che l’unico rapporto sano fra la politica e la cultura è quello nel quale la politica — nel nostro caso Regione e Comune — finanzia le Fondazioni culturali e, tramite i propri rappresentanti nei Consigli d’amministrazione, ne sorveglia l’attività amministrativa, lasciando ai direttori artistici non i «margini di autonomia», bensì la completa libertà sui contenuti: compresa la scelta di chi scritturare e chi no. Senza bandi: recitare «Amleto» non è un impiego al catasto. Se poi devo dire come la vedo io, sono dell’idea che la mozione Giovara sia in realtà un’altra puntata della resa dei conti fra i consiglieri Cinquestelle e gli assessori «esterni» al Movimento. Giovara da tempo è nei fatti l’assessore supplente alla Cultura: ha eclissato l’evanescente Francesca Leon; le ha scelto il direttore di Torino Jazz Festival; le ha dettato la linea sul Regio; l’affianca in incontri e trattative; e — piazzatosi alla presidenza della Commissione cultura — ha rimesso in discussione l’accordo sulla nuova Fondazione Torino Piemonte Musei che la povera Leon aveva imbastito con la Regione. Ma c’è di più: tra le righe della sua mozione Giovara richiama bruscamente la giunta agli obiettivi in campo culturale sottoscritti da Appendino in campagna elettorale. Questo è un richiamo all’ortodossia per Chiarabella. Non solo un avviso di sfratto a un assessore in bilico. |