Paesaggio, idee e strategie REINVENTARE I BENI CULTURALI di MASSIMILIANO FINAZZER FLORY Corriere del Veneto 30-AGO-2005
Spesso si parla della cultura come possibile fattore di sviluppo dell'economia. Raramente si pensa a essa quale vera e propria strategia per la crescita materiale e immateriale del Paese. Da fattore a strategia: passaggio non facile eppure necessario. Si tratta di ripartire da esperienze e conoscenze stratificate in simboli e segni per riunire ciò che è stato spezzato: il rapporto tra il paesaggio naturale e quello culturale. Patrimonio estetico che potrebbe essere palinsesto da offrire allo sviluppo etico ed economico. Tuttavia, spesso si viene, in questo campo, a contrapporre una cultura distorta e strumentalizzata, tesa a enfatizzare di volta in volta l'essere piuttosto che il fare, la teoria contro la pratica. Ma, il vero problema che pongono oggi i beni culturali è quello relativo alla loro immagine. Perché noi non siamo più in grado di immaginare nulla di nuovo intorno a essi. Anzi, le uniche idee che abbiamo sono quelle vecchie, quelle di sempre, ovvero: ossificare, cristallizzare, irreggimentare la cultura dentro gabbie pseudo-dorate quali i musei. Ma per visitare i beni cultuali bisogna abitarli, prima ancora che controllarli e custodirli. Per sapere qualcosa sulla loro immagine bisogna anche immaginare non solo quello che sono ma quello che potrebbero essere. Tra scomparse e apparizioni i beni culturali scartano la via più breve, quella del presente, della cronaca. L'immagine artistica è, o dovrebbe essere, scomoda testimonianza. Le forme artisti-che segnano il valore della diversità, a partire dalle nostre città. Interpretazione dei beni culturali come loro liberazione, malgrado tutto. Se, nell'occhio, è possibile trovare un ascolto di un tempo che fu e che tuttavia ancora non è. Paradossale assenza del presente nell'arte. Formidabili figure di spazi simbolici dove transitano in perfetto orario mezze apparenze, mezze verità. Immagini che (ci) fissano, che (ci) interrogano per destrutturarci. Per proiettare sullo schermo della nostra immaginazione i vissuti, le storie, i pensieri iscritti nell'opera. Immagini artistiche che ci ricordano accessi dimenticati. Si entra, in questo modo, nella cultura uscendo da pregiudizi e stereotipi che sempre gravano sulla categoria del bello. Così, l'arte, in realtà, ci conduce come una guida, senza governo, proprio perché si sottrae al controllo del conformismo. Per scoprire «una forma che pensa» nei beni culturali dove i punti di vista si raddoppiano affrontati sotto lo sguardo di un terzo: l'immaginazione come ciò che non forma l'immagine ma la de-for-ma. Deformazione come slogatura procurata al reale, sgambetto alla chiacchiera del quotidiano. Le opere d'arte sono perciò 1 loro effetti, ciò che resta di una ri-flessione ovvero di ulteriore piegamento dell'immagine artistica su di sé. Se convocati davvero, mettendoli in discussione, i beni culturali non si presentano più provenendo da musei nei quali giacevano fingendo riposo. Le opere vengono ora esposte al rischio. Alla luce, per una seconda volta. Alla ricerca di un altro ob(b)iettivo - che non sia quello della macchina fotografica del turista o cittadino pigro e passivo -, per dare una risposta alla nostra domanda di senso attraverso frammenti, torsi, lembi di verità. Per scoprire che la vita sta all'arte come la contemplazione alla libertà.
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