NAPOLI: La rinascita di Palazzo Penne Mario De Cunzo 30/08/2005 Il Mattino
Tre anni fa, nella sede dell’Istituto Italiano di Studi Storici, in occasione delle celebrazioni di Benedetto Croce, il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, annunciò ufficialmente la decisione di acquistare palazzo Penne. Dopo anni di alterne vicende e di progressivo abbandono lo storico edificio costruito nel 1406 da Antonio di Penne, gran segretario del re Ladislao di Durazzo, sarebbe stato acquistato dalla Regione per essere destinato a biblioteche. Non è stato facile per il governatore e per il suo assessore Marco Di Lello vincere le difficoltà della burocrazia e perfezionare l’acquisto. Il palazzo era proprietà della società Manuia che in vero non poteva che vendere perché ogni tentativo di rendere commercialmente produttivo l’immobile era stato frustrato dalla Sovrintendenza. Ora l’acquisto è stato completato e sono stati stanziati i primi fondi, 300mila euro, per iniziare il restauro. L’edificio non è completamente in rovina perché è ancora abitato da due inquiline, due signore che garantiscono pulizia e decoro negli ambienti ancora agibili. La facciata di ingresso è caratterizzata da bugne rettangolari sulle quali è impressa la penna, stemma di famiglia concesso da re Ladislao al suo fedele segretario in ricordo sia delle funzioni di Secretus Regis Consiliator sia del paese di origine in Abruzzo. Il portale di ingresso in belle forme durazzesche è in marmo bianco e marmo rosato, al di sopra del portale vi è una targa, sormontata dallo stemma d’Angiò Durazzo con l’anno della costruzione: XX anno regno regis Ladislai... mille fluunt magni bistres centumquater anni (1406, nel ventesimo anno del regno del re Ladislao). Lungo l’arco ribassato si sciolgono due nastri con una scritta latina che echeggia un epigramma di Marziale, la scritta, poco leggibile, è stata trascritta in fogli manoscritti conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli ed è stata pubblicata da Celano Chiarini in Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli, 1850, e da altri: «Qui ducis vultus nec aspicis ista libenter, omnibus invideas invide nemo tibi» (tu che giri la faccia e non guardi questa casa, invidi tutti, nessuno invidia te). Si affiancano e si uniscono forme tardo gotiche attribuibili ad Antonio Baboccio da Piperno, quotatissimo artista del tempo, ed elementi di raffinata cultura umanistica, come aveva notato Roberto Pane nei suoi testi sui secoli XV e XVI. Il palazzo ha l’ingressso su via Banchi Nuovi e si sviluppa con portici e giardini fino all’orlo di un terrazzo panoramico affacciato sul mare; dall’alto di un possente banco di tufo dominava uno specchio d’acqua dove forse vi era un approdo nel basso medio evo e dove ora vi è piazza della Borsa. Dall’ingresso segnato da battenti in legno intagliato originale del Quattrocento si passa in un atrio con volta a crociera costolonata, poi scendendo pochi gradini si raggiunge un portico con pilastri quadrati, esili colonnine angolari e archi a sezione ottagona. Il portico delimita un giardino ben tenuto con piante esotiche e da frutto, e tra il verde sparsi reperti antichi forse provenienti da corpi di fabbrica demoliti o da strutture mai comletate. Di fianco il palazzo affaccia sui gradini di Santa Barbara, una rapida antica discesa a mare, si conservano ancora ampie finestre a croce, altri segni dell’antica lussuosa dimora. Più tardi nel palazzo Penne ha abitato Teodoro Monticelli (1759, 1845) monaco benedettino, eroe della rivoluzione del 1799, incarcerato, dal 1808 professore di chimica nell’Università di Napoli; celebre per gli studi sul Vesuvio, conservò nel palazzo la sua celebre collezione di minerali. Nel 2000 la Biblioteca della Fondazione Benedetto Croce ha pubblicato un bel libro di Gennaro Borrelli Il palazzo Penne, un borghese a Corte, nel quale si possono trovare tante altre notizie sul palazzo. Nell’estate del 2002 quando si ventilava lo sfratto delle due famiglie che ancora abitano il palazzo, vi fu una forte mobilitazione, il 20 giugno ed il 24 settembre gruppi di giovani animosi dei comitati antisfratto si opposero allo sgombero. In seguito il consigliere di circoscrizione Pino De Stasio e io avevamo pensato di salire sulle impalcature che ancora vi sono e iniziare con alcuni amici muratori il restauro abusivamente, ma abbiamo desistito per non turbare l’ordine pubblico. Oggi le cose sono cambiate. La Regione ha affidato il palazzo all’Università Orientale affinché siano collocate in esso la Biblioteca Pietro Piovani e la Biblioteca Fabbrocino Tessitore che Fulvio Tessitore con atto liberale ha voluto mettere a disposizione del pubblico. Ora si fa sul serio.
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