Sussidiarietà, tra mito e realtà di Nino Ferrelli ItaliaOggi, 203 27/8/2005
Con la ripresa, nel mese di settembre, del dibattito sul federalismo si ripropone, alla luce delle pronunce emanate dalla Corte di giustizia e dalla Corte costituzionale, l'esigenza di approfondimento del suo concetto più importante, secondo alcuni ´fondante', dello stesso: la sussidiarietà.
La sussidiarietà realizza una clausola di distribuzione delle competenze flessibile, che valorizza, ove possibile, la competenza di governo più vicina ai cittadini, stabilendo le condizioni che legittimano l'intervento sussidiario del livello superiore. A oltre dieci anni dalla sua introduzione a livello europeo e dopo la sua costituzionalizzazione, non sono tuttavia ancora chiari i confini di tale istituto né a livello europeo ove è nato, né a livello nazionale. Non è ben chiaro, infatti, se esso costituisca un istituto azionabile in giudizio (ove non fosse rispettato il suo spirito di decentramento da parte di norme regolatrici della competenza), ovvero rappresenti, più modestamente, una mera linea di indirizzo politico, senza alcun riscontro giuridico (e giudiziario) possibile.
A livello comunitario la questione si è lungamente concretizzata, in modo minimale, nell'esigenza di motivazione e di proceduralizzazione della funzione; talché attraverso la motivazione si potesse adeguatamente comprendere la bontà o meno della scelta adottata. Le ragioni di tale riduttiva considerazione sono sia di carattere tecnico sia politico. Sul piano tecnico i parametri di riferimento per la valutazione della funzione di sussidiarietà sono troppo vaghi e incerti; sul piano politico le valutazioni di quale sia il livello meglio legittimato a operare dipendono da valutazioni economiche, politiche e sociali difficilmente conoscibili dai giudici europei. Dopo l'approvazione del protocollo sulla applicazione del principio di sussidiarietà allegato al trattato di Amsterdam, si è realizzata una sostanziale evoluzione nella giurisprudenza della Corte di giustizia; nell'ambito di una recente sentenza sul tabacco in cui, al di là del contenuto finale della decisione, la Corte di giustizia sembra prendere sul serio per la prima volta le ragioni giuridiche della sussidiarietà. Il controllo di legittimità svolto dalla Corte ha teso, infatti, a verificare il rispetto del principio da parte del legislatore comunitario, commisurandolo alle ragioni e alla necessità e all'intensità dell'azione comunitaria. Se questa ultima sentenza sul tabacco non serve solo a gettare fumo negli occhi, forse siamo, a livello comunitario, a una concreta evoluzione giuridica dell'interpretazione della funzione. In questa stessa prospettiva la nuova Costituzione europea ha definito un principio di collaborazione tra i diversi parlamenti nazionali ed europeo, per la verifica ex ante del rispetto di tale istituto da parte delle norme comunitarie.
A livello nazionale due importanti sentenze della Corte costituzionale aiutano a comprendere la questione: la n. 3003/03 e n. 6/2004. In entrambe le sentenze la Corte valuta la sussidiarietà sul piano giuridico, anche se riduce la portata del principio di sussidiarietà a quello collaborativo, e, conseguentemente, subordina la legittimità dell'intervento statale esclusivamente al momento della concertazione e non, invece, all'effettiva esistenza di presupposti sostanziali di sussidiarietà. La Corte costituzionale riduce, in senso generale, la sussidiarietà sostanzialmente a un'intesa; essa costituisce solo una condizione astratta di legittimità della legge e non un presupposto concreto per la sua emanazione. Ossia esso può costituire il valido strumento, non sindacabile in sede giudiziaria, per la riappropriazione da parte dello stato di funzioni teoricamente cedute.
Comunque si voglia interpretare la breve ricostruzione proposta si evidenzia come, diversamente da un'interpretazione della sussidiarietà apparentemente favorevole al decentramento, le diverse pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, nell'ambito di sentenze tutte sfavorevoli a un'interpretazione di decentramento della funzione, hanno concretamente utilizzato l'istituto per riaffermare la competenza generale, anziché le competenze locali. ´In tali contesti la sussidiarietà agisce come subsidium solo quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intende raggiungere; ma se ne è provata l'attitudine ascenzionale deve allora concludersi che la funzione amministrativa può essere esercitata dallo stato'.
Della sussidiarietà, intesa quale motore portante del processo di decentramento, non resta dunque, sino a ora, traccia; oltretutto non pare realisticamente pensabile l'impugnativa di una legge ritenuta lesiva di tale principio quando lo stato abbia rispettato i dati formali di un'intesa collaborativa sul piano procedurale. I giudici, più che sul profilo della vicinanza del soggetto giuridico capace di svolgere la funzione al cittadino, hanno focalizzato la loro attenzione all'astratta capacità del livello superiore a svolgere efficacemente i compiti assegnati, senza alcuna altra considerazione o condizionamento.
Quello che sembrava un grimaldello potenzialmente utile a scardinare il sistema si è rivelato poco più di una insignificante appendice del sistema stesso: e dire che i sostenitori della tesi del decentramento ne stavano facendo la loro bandiera. (riproduzione riservata)
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