Olio, mercurio o marmo: se il pittore fa l'alchimista di ARTURO CARLO QUINTAVALLE 27 AGO 2005 CORRIERE DELLA SERA
Provate ad andare nella sala di Tintoretto alle Gallerie dell'Accademia a Venezia oppure alla Scuola Grande di San Rocco: quei filamenti luminosi, quei barbagli di luce che segnano le figure, gli alberi, i notturni, stupiscono ancora, eppure questa pittura Giorgio Vasari (Le Vite, 1568) non la poteva capire; per lui infatti l'artista «ha superata la stravaganza con le nuove e capricciose invenzioni e strani ghiribizzi del suo intelletto». Certo, a confronto con questo vibrante «Cristo sul mare di Galilea» di Washington qualsiasi dipinto della scuola di Raffaello e fino a Giulio Romano appare diverso, dipinto con tutti gli strumenti tradizionali. Dunque vetro polverizzato nel colore? Possibile, ma nessuna meraviglia. Gioito agli Scrovegni, lo ha scoperto Giuseppe Basile, utilizza la polvere di marmo dentro la calce del buon fresco, lo fa quando rappresenta edifici antichi, rivestimenti, si chiama marmorìno, è duro e liscio, ed è la ripresa di una tecnica antica. Dunque gli artisti inventano, anche troppo, come nel caso della Battaglia di Anghiari di Leonardo per Palazzo Vecchio, del 1505, mai finita. Racconta ancora Vasari: «Immaginandosi (Leonardo) di volere a olio colorire in muro, fece una composizione d'una mistura sì grossa per lo incollato del muro, che continuando a dipìngere in detta sala, cominciò a colare di maniera, che in breve tempo abbandonò quella, vedendola guastare». Certo, le fonti raccontano, degli artisti, la sperimentazione, ma si tratta a volte di pittori ai margini della tradizione accademica, come nel caso del Pqrmigianino che interrompe gli affreschi della Steccata a Parma, scrive sempre Vasari, «perché avendo cominciato a studiare le cose d'alchimia, aveva tralasciato del tutto le cose della pittura, pensando di dover arricchire congelando mercurio»; forse però «carboni, legne, boccie di vetro», fra le quali bruciava il suo tempo Parmigianino sono esperimenti sul colore, sul mercurio, sui rossi, sulle combustioni? Non sappiamo, certo è che la sperimentazione attraversa tutta l'arte rinascimentale, e tocca anche gli scultori, da Donatello a Benvenuto Cellini come racconta lui stesso drammatizzando la fusione del suo Perseo. Adesso però questa scoperta fa riflettere: arte è invenzione, ma è sempre scoperta, sperimentazione delle tecniche. Dunque ben venga la polvere di vetro che illumina le notti di Tintoretto e gli incarnati tersi e assoluti dì Lorenzo Lotto.
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