La logica dei piani paesistici Francesco Manfredi-Selvaggi Altromolise, 09 agosto 2005
Gli attuali strumenti di governo del paesaggio moderno rispondono a criteri metodologici molto definiti, fissati dalla legge regionale in materia che lasciano poco spazio all’interpretazione dei loro progettisti e, quindi, alla creatività.
L’esame delle caratteristiche degli attuali piani paesistici della Regione Molise deve partire dalla metodologia che hanno improntato la loro formazione. La prima fase nella redazione dei piani è stata quella della effettuazione delle analisi sul paesaggio. Le analisi sono state condotte rispetto ai vari interessi che la legge regionale sulla pianificazione paesistica, la L.R. n. 24 del 1989, riconosce legati al paesaggio. Essi sono l’interesse naturalistico, quello percettivo, quello storico-urbanistico, quello legato alla pericolosità geologica e quello connesso alla produttività agronomica. Ad ognuno degli elementi che costituiscono il paesaggio in relazione ai diversi valori elencati sopra viene attribuito un valore che va da quello eccezionale, a quello elevato, a quello medio, a quello basso. Il valore viene assegnato in relazione all’importanza che un determinato elemento possiede rispetto alla totalità del paesaggio, piuttosto che nei confronti della particolare disciplina che lo valuta (per esempio, un gruppo di piante è significativo per la sua rilevanza nel sistema paesistico invece che per la sua peculiarità dal punto di vista esclusivamente botanico). I criteri di attribuzione del valore sono stabiliti in uno specifico paragrafo di ciascun piano, ma generalmente sono stati adottati criteri simili per tutti i piani. Deve essere segnalata una carenza nella valutazione degli elementi che essendo limitata solo a riconoscere la loro particolare qualità non tiene conto della loro vulnerabilità, uno degli aspetti, invece, considerato essenziale dalla Convenzione Europea del Paesaggio almeno a livello di ambito. È evidente che già nella fase delle analisi vengono compiute scelte progettuali perché è, di certo, una decisione di tipo progettuale a stabilire quali sono i valori da tutelare. La selezione delle componenti paesaggistiche significative è funzionale all’attribuzione a ognuna di queste di un peso che dipende dal ruolo che esse svolgono nel configurare il paesaggio. Il giudizio di valore mira ad individuare i fatti biologici, geomorfologici e insediativi che rappresentano gli elementi ordinatori rimasti fissi nelle varie fasi di trasformazione della struttura del paesaggio; detto diversamente, le analisi vanno alla ricerca delle “invarianti” nel sistema paesaggistico che sono quelle componenti che hanno dimostrato una capacità di persistenza e inerzia al cambiamento oltre che una capacità di condizionamento. Se si può trovare un limite in questa impostazione è che non vengono studiate le relazioni tra queste componenti ma i singoli elementi separatamente fa loro. La legge regionale citata distingue poi gli elementi del paesaggio non solo in base al valore, ma anche in relazione alla dimensione, rispetto al quale gli elementi vengono definiti puntuali, lineari, areali. Anche elementi puntuali che sono elementi di piccole dimensioni nei confronti della dimensione dell’ambito al quale appartengono possono essere anch’essi dei segni paesaggistici primari e, pertanto, opportunamente non vengono confusi con le “bellezze individue”. Quello che completerebbe il lavoro di analisi è una descrizione accurata dei vari elementi. Non si ritiene, infatti, sufficiente averli riportati in cartografie tematiche e di aver compilato schede di catalogazione, più o meno dettagliate; manca una illustrazione completa del significato del particolare elemento la quale consentirebbe di rendere esplicito alla collettività il giudizio di valore. Le valutazioni che scaturiscono dalle analisi portano a delimitare le aree sulla base delle qualità. Si ha così la disaggregazione del territorio in zone di interesse differenziato da cui scaturisce il livello di tutela. In effetti solo nel piano paesistico n. 4, quello relativo alla zona di Frosolone, vi è per ogni zona un’unica modalità di tutela, mentre generalmente le modalità di tutela sono diverse a seconda dell’intervento antropico preso in esame. Ciò non vuol dire che anche negli altri piani paesistici non si tenga conto del valore globale dell’area, ma non si ha una unica risposta in termini di tutela per tutte le possibili attività dell’uomo che è immaginabile si proporranno in quell’area. Vi sono, poi, piani paesistici come quello del Matese che assomigliano molto alla zonizzazione dei parchi in quanto vi è una maggiore esclusione delle attività man mano che l’altitudine decresce: questa non è intenzionalità esplicita, bensì traspare dalla lettura della tavola di progetto (identificata con la sigla P1). È implicito, inoltre, che le scelte di pianificazione sono state condizionate dal maggiore o minore grado di apertura alla trasformazione delle singole zone: mancando analisi sulla fragilità dell’assetto paesaggistico delle varie aree non è possibile distinguere le zone da modificare e quelle, all’opposto, da trasformare. L’unico parametro di giudizio per stabilire il livello di tutela per ogni area rimane il grado di interesse paesaggistico individuato in quell’area. Nei nuovi piani che si dovranno redigere in base al Codice Urbani le aree sono suddivise a seconda degli "obiettivi di qualità", ma questo è tutto un altro discorso.
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