LA LUNGA (E INUTILE?) BATTAGLIA ANTI ABUSIVISMO ROSANNA PIRAJNO 23 agosto 2017 la Repubblica
Privilegiando case capannoni centri commerciali e sportivi, e in estensione con infrastrutture di grande impatto su paesaggio e assetto idrogeologico dei siti interessati.
Il tutto avviene in nome di uno sviluppo basato sulla crescita del Pil, che come sappiamo «misura la quantità di beni e servizi prodotti, ma non la loro qualità» ed è quindi tutta una corsa a costruire nel convincimento, chi in buona fede e chi no, di fare del bene al proprio territorio.
In questo fermento espansionistico si innestano almeno due fattori di estremo peso impattante: il fenomeno assai diffuso dell'abusivismo edilizio, anche di notevoli proporzioni in taluni insediamenti che stravolgono le caratteristiche geomorfologiche e paesaggistiche dei siti, e la propensione alla grandeur di sindaci e politici di riferimento che programmano per i propri territori opere esorbitanti i limiti finanziari, dimensionali e gestionali di cui dispongono, condannando le amate terre allo status di cimiteri di opere "grandi e inutili".
Grandi e inutili (Einaudi 2015) è giusto il titolo del libro in cui Antonio Fraschilla, giornalista di Repubblica, ha raccolto il dolente florilegio delle cattedrali nel deserto che da nord a sud punteggiano lo stivale, dato che «Governo, Regioni e Comuni hanno sprecato miliardi per realizzare infrastrutture e opere troppo grandi, troppo costose da gestire, di nessuna utilità per le comunità».
E se di queste ingombranti incompiute non si sa che fare, inchiodate come sono ad un limbo di contenziosi farciti di insipienza e rassegnazione che li rende invisibili pure alle buone intenzioni elettorali, del sommerso-emerso patrimonio abusivo di villini palazzine casette in riva al mare sdoganate dalle fiction televisive (oh, la casa del commissario con quegli archetti a tutto tondo e le balaustre barocchette, sulla battigia come le altre in fila!), si continua a fare merce di scambio perfino nell'anno di grazia 2017 delle elezioni regionali e della, si supponeva acquisita, coscienza civica se non proprio ambientalista.
Quella che avrebbe dovuto sostenere l'azione legale, legalissima, del sindaco Angelo Cambiano di Licata che aveva iniziato a ripulire delle brutture illegali il litorale del paesone, nel tentativo di dare seguito ad una ordinanza di tribunale ma pure, voglio credere, di ridare credito alla consapevolezza sociale del "paesaggio bene comune" e perciò da tutelare, salvaguardare e manutenere in buono e bello stato, si è risolta in una azione di sfiducia dei consiglieri di maggioranza, sette dei quali si dice implicati in casi di abusivismo.
Hanno vinto i proprietari delle mediocrità fai-da-te, hanno perso i cittadini di una comunità che poteva ambire alla eccellenza della riappropriazione di: - del proprio territorio sfregiato, da ripensare, curare, progettare cum gaudio; - del concetto di "paesaggio bene comune", in cui trovare i fondamenti del benessere collettivo che ne deriva quando "ben e bel costruito"; - della nozione di architettura come arte e scienza che regola, e talvolta sublima, le umane aspirazioni ad un felice rapporto con la natura; delle virtù taumaturgiche della "cura del territorio" impiegato in attività sostenibili per l'ambiente e fruibili dalla collettività, che ne potrà ricavare benefici economici oltre che esistenziali. E non è cosa da poco, agendo però "da comunità".
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