CAMPANIA - Il Mann omaggia il grande archeologo «Ero con Maiuri quando accompagnò Ingrid Bergman all’Archeologico» di NATASCIA FESTA Corriere della Sera, Napoli 18 gennaio 2017
Giuseppe Maggi, ex direttore del Museo e stretto collaboratore dello studioso,racconta il lavoro e le ferite private dell’autore di «Passeggiate campane»
«C’ero anch’io quella mattina all’inizio degli anni ‘50 con Amedeo Maiuri ad accompagnare Ingrid Bergman nelle sale del Museo Archeologico di Napoli. L’attrice era lì per uno dei sopralluoghi delle riprese di “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini di cui è stata la straordinaria protagonista. Ricordo una donna bellissima e delicata, con uno sguardo romantico che si posava sulle grandi sculture del piano terra...». A raccontare è Giuseppe Maggi, l’archeologo cui si deve tra l’altro la riscoperta del porto di Ercolano e che per molti anni, a cominciare dal 1963, ha diretto quello che è adesso il Mann dove s’inaugura oggi (alle 17,30) una mostra dedicata all’infaticabile studioso che dalla Grecia alla Campania ha compiuto clamorose scoperte archeologiche. L’ideazione è di Umberto Pappalardo, direttore del Centro internazionale Studi Pompeiani e del fondo Maiuri (donato all’Università Suor Orsola Benincasa dalla figlia Bianca) che cura l’esposizione insieme con Laura Del Verme, Rosaria Ciardiello e Pio Manzo.
Maggi è prodigo di memorie avendo esordito da giovanissimo proprio con l’autore di «Passeggiate campane» del quale divenne stretto collaboratore, firmando poi un libro-omaggio (finalista al premio Viareggio) «L’archeologia magica di Maiuri». «Avevo vent’anni ed ero uno studente di glottologia» ricorda. «Il mio professore di riferimento era il celebre linguista Vittorio Bertoldi. Fu lui a portarmi dal soprintendente. Così andammo a Palazzo Reale, dove abitava in alloggi demaniali. Il mio prof gli disse che mi sarei fatto strada all’università ma che al momento avevo urgenza di lavorare: “Se hai bisogno di lui, te lo presto”. A lui serviva un aiuto, così io e la figlia Bianca diventammo i suoi più stretti collaboratori. Fu Maiuri ad assegnarmi in seguito l’incarico ad Ercolano che doveva essere temporaneo perché io, sostanzialmente, ero considerato un glottologo. Invece sono rimasto e grazie ad un’intuizione riuscii a individuare il porto in cui morirono gli ercolanesi. Fino a quel momento, infatti, si riteneva che tutti avessero abbandonato la città, ma era impossibile in base alla testimonianza dello storico Sisenna e anche perché era in atto un maremoto».
«Tutto iniziò - continua - quando gli proposi di collegare il tracciato degli scavi borbonici e risorgimentali del cardo terzo col decumano massimo. L’anziano studioso era titubante. C’era un alveare di case di Resina da abbattere, bisognava convincere il Comune a trovare ottanta alloggi per le famiglie che vi abitavano. Alla fine accettò “ma” disse “devi occupartene tu”. Trovai un sindaco collaborativo, Buonajuto, zio di quello attuale, che diede corso al progetto».
Di Maiuri Maggi racconta anche le ferite: «Una volta lo accompagnai a Roma. Nei giardinetti della stazione Termini borbottò: “Chi potrebbe mai immaginare che l’accademico che sono oggi ha dormito su queste panchine”. Aveva avuto un rapporto complicato con la madre, una giovinezza amara che lo portò presto fuori di casa». Lo scavo fu la sua cura.
Ad inaugurare la mostra sarà il direttore del Mann Paolo Giulierini: «C’è da domandarsi - dice - come abbia fatto ad associare la carica di direttore del maggiore museo archeologico del mondo a quella di Soprintendente di un territorio che comprendeva il Molise e la Calabria, di docente universitario, di Accademico, di solerte editore e di divulgatore culturale». In serata sarà proiettato un documentario di Marco Flaminio.
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